Francia, Europa e il paesaggio della psiche del Sapiens di fronte al futuro. Primi anni ’90. Andreas Schaltzmann è un sopravvissuto, alla madre, agli effetti persistenti del dell’adattamento umano alla Rivoluzione agricola, al padre assente e tedesco, alla complessità, allo spettro dell’orrore che dall’Ex Jugoslavia, interzona d’Europa, brilla oscuro, al flusso informativo che penetra la neocorteccia, a psichiatri in denial, ai virus antiumani che attaccano il suo stomaco e il suo sangue. Andreas è probabilmente l’ultimo membro della Resistenza. Ogni strada, i quartieri, sono controllati dai nazisti e da alieni provenienti dal pianeta Vega. Autorità e polizia sono state infiltrate. Quindi combatte, evita la cattura, si nasconde sulle montagne. Cacciatore e preda. Il mondo vive una menzogna antiumana. L’estinzione incombe, l’Olocausto non si è mai fermato, gli Alleati e Charles de Gaulle sono stati sconfitti, massacrati a Omaha beach.
«La casa stava per inghiottirmi… ed erano giorni che qualcuno mi chiamava per dirmi che mia madre mi avvelenava…. sono scappato dal campo di concentramento e ho attraversato il fiume…»
In pieno delirio psicotico lo spree killer Andreas Schaltzmann, cannibale, vampiro, piromane, uccide animali, poi uomini e donne. É il pericolo numero uno in Francia. Per catturarlo viene convocato il team del dottor Gombrowicz, famoso manhunter che ha contribuito ad affrontare negli Stati Uniti l’epidemia di serial killer negli anni 80. L’ultimo arrivato in squadra è un giovane da un curriculum particolare, Arthur “Dark” Darquandier, una sorta di ingegnere della conoscenza, un architetto di sistemi cognitivi. Arthur sta sviluppando una neuromatrice, hardware e software progettati per estrarre verità ed elaborare coerenza narrativa dal caos, un’intelligenza artificiale quantistica in mimesi con le strutture cognitive del suo creatore che chiama Dottor Schizo.
Quando infine Schaltzmann verrà catturato modus operandi, tempi e immaginari psicotici analizzabili su alcune donne uccise sui Pirenei non rientrano nello schema elaborato dal team Gombrowicz. Arthur insieme a Dottor Schizo ne è convinto: quegli omicidi brutali non sono opera di Schaltzmann. Le autorità credono, forse desiderano, una soluzione più ragionevole, lineare e imputano a Schaltzmann tutti i cadaveri ritrovati e i relativi omicidi. Il mostro è stato fermato, il tessuto metafisico della realtà ricucito, il caso è chiuso. Nessuno vuole guardare l’abisso forse. Arthur Darquandier conclude la sua carriera di cacciatore di serial killer picchiando un magistrato e parte.
Quasi un flash forward, alcuni anni, il Millennium incombe. Arthur, dopo aver implementato e diffuso le capacità della neuromatrice, sta selezionando le menti migliori per il progetto Biosphere 2000. Svetlana, antropologa e collega del Team Gombrowicz, lo richiama in servizio, quasi come a mantenere una promessa di sangue: Arthur e Dottor Schizo devono mettere da parte i piani per colonizzare Marte. Come in un buco nero sotto montagne, foreste e città al centro dell’Europa, donne e bambini continuano a sparire; come con un demone del genocidio in azione cadaveri brutalmente massacrati vengono ritrovati.
«Sul territorio che dicevamo, Dark. Le Alpi, per semplificare. Una mezza dozzina di stati, Se mi limito ai dati contenuti nell’archivio della polizia della Lombardia e del Veneto, per esempio, si constata una recrudescenza delle scomparse di bambini in queste regioni da quattro o cinque anni. Soprattutto ragazze. Dei modus operandi piuttosto simili… un bambino a casa da solo, di notte, che sparisce senza lasciar traccia…»
Citando Nietzsche, tanto amato e citato da Maurice G. Dantec, i protagonisti de Le radici del male dovranno andare a fondo per andare in fondo. Il romanzo è un thriller scorrevole, coerente, capace di creare e soprattutto mantenere tensione narrativa per le sue 640 pagine. Intermezzi su frattali, caos, esoterismo, Mandelbrot e cabala e fisica quantistica sono allo stesso tempo essenziali e gestiti con la naturalezza dell’autore che comprende ciò di cui sta scrivendo, evocando in maniera precisa nel grande piano del romanzo e in quello ancora più grande, quanto sotterraneo, del sottotesto.
L’enorme Zeppelin del centro Bercy II assomigliava al reperto di una guerra lontana, levigato dal tempo e miracolosamente conservato nel freddo, come un mammut siberiano liberato dalla sua morsa di ghiaccio millenario.
L’indagine si muove su due livelli principali, entrambi organici allo svolgimento. Quello classico, orizzontale. Schemi e modus operandi e coazioni di investigatori e carnefici su una mappa che occupa un “territorio di caccia” che comprende l’Italia settentrionale, il nord della Spagna, la Svizzera, il sud della Germania, foreste ancestrali e i Pirenei francesi. Arthur e Dottor Schizo si muovono anche come agenti nella Rete, hacker incidentali ma capaci. I movimenti virtuali che le due dramatis personae svolgono in luoghi oscuri del web sono brillanti. Poi quello sull’immaginario, uno che Dantec compone, pagina dopo pagina, come collettivo e insieme dimenticato: illustra la verticalità, la ricerca delle radici del male, dove la specie è genocida, antiumana in uno spettro che come onda vibra nel tempo, tutto, passato e futuro, il cui senso è confuso, come rigettato, dalla mente “normale” ma che emerge in frammenti e particelle, vettori e frattali, in quella schizofrenica, cospirazionista, del terzo osservatore. Le costruzioni narrative, insane, deviate, di personaggi traumatizzati, psicotici, cospirazionisti, provvedono a frammenti di verità sullo stato del mondo altrimenti ignorati, destinati altrimenti a rimanere antimeme. In qualche modo nazisti e pseudoumani sono davvero tra noi, estrae come verità non detta il mondo dei sani e dei funzionali. In questi momenti della trama e pagine il talento creativo di Dantec è enorme, mirabile: l’Entità Schaltzmann è un trope Lektor del thriller meraviglioso per complessità immaginifica e insieme grande funzionalità nella trama del romanzo. Il protagonista Arthur, capacissimo umano, supera i suoi bias e i suoi limiti cognitivi, con e grazie alla neuromatrice che non risulta mai, non per una pagina, come un espediente sci-fi la cui futurabilità, oggi, è fortissima. L’intelligenza artificiale Dottor Schizo è, senza alcun dubbio, una delle miglior rappresentazioni di intelligenza non umana: non sciocca, non banale, altra, mostrata mentre evolve e devolve. Grande scrittura emerge mentre Dantec fa scorrere, scena dopo scena, la sua ricerca genealogica del male, dalla Guardia di ferro rumena e i suoi treni, fino a laghi alpini trasformati in cimiteri di caccia.
Thriller pubblicato per la prima volta nel 1995, questo le Radici del male è, per struttura, magnitudine del crimine e verticalità, opera pari in trama e tensione e superiore per sottotesto a True Detective se Pizzolatto ne avesse fatto un romanzo. Gli agenti del male sono umani coltivati nelle città europee, che soffrono l’essere sedentari, parte di una specie che conta miliardi d’individui, i cui traumi e poi incontri hanno determinato la trasformazione di sogni neri in azioni e azioni in protocolli omicidiari. Sono errori, virus nel programma incompleto della civiltà che aumenta bug e crash generazione dopo generazione. La solidità di protagonisti e antagonisti, come la chiarezza della pagina di Dantec, pur in presenza funzionale di psichedelici, collassi, deliri del futuro e visioni del passato, è meravigliosa da osservare come di fronte a colonne antiche, qualcosa del romanzo di un altro decennio appunto, un altro esercizio di genealogia della scrittura e questo per chi scrive e legge il thriller rilevante di Dan Chaon o VanderMeer o Ducrozet è un altro premio che le Radici del Male consegnano. Due domande sorgono e rimarranno senza risposta: Dantec ha letto Paul Shepard? Per quale caso del mondo le Radici del Male non sono un bestseller? Arrivato forse troppo presto, le parole chiave che Dantec svolge in questo romanzo sono adesso parte del repertorio consolidato dello scrivere nell’Antropocene manifesto. Ora e in ogni caso, in variazioni di traditio lampadis e riconoscimenti con questo romanzo, salutiamo un altro sconosciuto.
Fra due interferenze di rumore bianco, intravide città in fiamme, centri commerciali abbandonati a saccheggi di inaudita violenza, nel balletto punteggiato e fluorescente delle pallottole traccianti; scorse elicotteri sorvolare zone incendiate, perforando la notte con i loro proiettori allo xenon, moschee distrutte a colpi di cannone, sinagoghe e templi fatti saltare in aria con la dinamite, ponti che sprofondavano in una nuvola di polvere, detriti e fumo, missili risplendenti di furore sulle loro rampe di lancio; ogive di Stalin, Tomahawks, Sams, Scuds, Exocets, conte altrettanti angeli, sterminatori graziosamente affusolati, in rotta verso cieli notturni. Vide la luce alla fine dei loro stermini, e vide le tenebre oltre.
Il nuovo millennio arriva, riti vengono eseguiti, sacrifici pianificati, non manca “materiale” ovvero umani per compierli ma, nel caos, intelligenza e Verità ancora hanno senso, potere. C’è speranza ma è tragica, qualità essenziale quando il nemico si muove come attraverso i secoli, in cerca del momento giusto che, per Dantec, non è ancora adesso. C’è una lotta per quel progetto dell’adolescenza tecnologica umana che è la civiltà. Il finale del romanzo, dopo tutte queste evocazioni e immagini, mantiene la promessa in un tentativo di apocalisse, più realistica e capace di molte che è così difficile per lo scrittore come per chi crede nella scrittura e nel romanzo provvedere a illustrare quella che è la prossimità alla realtà dell’Interregno ovvero che collasso e tensioni al futuro radioso coesistano nello stesso tempo e coabitino lo stesso pianeta. C’è speranza, anche se tutto cospira per la predazione sui deboli e la fine delle città, sembra dire Maurice Dantec ma solo nella giusta lotta, una che non può non essere profonda.
