Le ragazze Monroe, Volodine

Forse. Da qualche parte, in uno degli incendi descritti da Manuela Draeger, una donna e un uomo stanno morendo, confusi e devastati da vendetta e CO2, e mentre bruciano, sperano. Oppure una coppia di postumani nella wasteland euroasiatica ricordano qualcosa del proprio passato come si mettono insieme frammenti di specchi di diverse epoche e fatture e preparano un altro narrat che rimarrà inascoltato anche dal viaggiatore che ha dimenticato ogni cosa. O il Ventesimo secolo non è stato una febbre quanto la terrificante terapia per svegliarsi dal sonno dorato dell’Olocene. In ogni caso e tutti insieme.

Avevo sempre visto le ragazze Monroe nel momento in cui emergevano dalle tenebre, bardate, nere e informi, dall’aspetto abbastanza spaventoso quando venivano giù dal nulla in mezzo al buio e, all’improvviso, mi rendevo conto che in un altro contesto, nel contesto dell’ospedale, nella realtà del campo di internamento, la loro nudità non aveva nulla di attraente né di rassicurante.

La Seconda Rivoluzione ha avuto successo, si è stabilita nel mondo. Se è in corso una guerra, quella finale, asimmetrica e convenzionale, memetica e spirituale contro il nemico capitalista deve essere nelle sue gloriose fasi iniziali, quelle in cui soldati e soldatesse non devono cercare rifugio nelle immensità di steppe e praterie come in Terminus Radioso e le vittime della polizia politica controrivoluzionaria stanno per essere vendicate. Il Centro non sa ancora di essere condannato a crollare e i suoi abitanti e costruttori possono impegnarsi in una qualche forma di autofagia, nella costruzione di un’immensa città ospedaliera, in guerriglia e controguerriglia tutta interna al Partito. C’è il tempo devastato tipico dell’Interregno, qui con le sue energie, le capacità per impegnative e costose operazioni speciali multidimensionali. Le ragazze Monroe è la storia di una queste, forse la prima. La guerra postesotica, così strana, sentimentale, un prodotto degli abissi che crea l’amore troppo umano per l’Umanità è anche un’immensa, patologica, guerra civile a cui solo mutanti, veggenti e viaggiatori senza metà in Oklahoma sopravvivranno. Così Monroe commissiona dall’aldilà alle “sue” ragazze una missione: distruggere il Partito per salvarlo, ucciderne i membri per evitarne la scomparsa. Il suo piano dal buio.

Come parecchi di noi, apparteneva a una specie intelligente, o almeno a una specie abbastanza intelligente da poter riflettere ad alta voce. Sulla nostra attività intellettuale nei momenti in cui restiamo lì senza bofonchiare e dalle nostre labbra non
esce nulla, veterinari e tanatologi continuano a discutere. Ma sono diatribe di un’epoca passata. In realtà, né il linguaggio né il pensiero sono necessari alla vita o alla sopravvivenza. La ragazza non pensava forse in maniera costante, però agiva.
(pag. 10)

Un piano che il Partito e la Polizia, le uniche autorità rimaste ma in una forma di solitudine che è già apocalittica, intercettano, forse grazie a degli informatori sciamani ma più probabilmente perché Monroe e le sue ragazze sono un prodotto del Partito e il loro piano non è che uno specchio della dialettica rivoluzionaria. Come il piano verrà attuato è un’altra storia, una che richiede immaginazione. Indaga le fantasie e gli angoli dell’ospedale l’investigatore Kaytel, interroga i resti dell’umanità, fa il poliziotto politico e prova a infiltrare la cellula Monroe che entra ed esce dal mondo dei morti, dei vivi e dei folli.

L’osservazione nel mondo dei folli e dei vivi morenti non è impossibile ma irrilevante per una semplice storia. Ora, adesso, questa storia è un caleidoscopio di frammenti, opera come un romanzo d’immaginario. I tram, Baltimore, finestre vere e su varie possibilità, Monroe, Oïstrakh, Rozenblat, centinaia di fazioni e colori nel partito, i Mordovienko e i viali tra i reparti, sogni dimenticati. Abbozzi di percorsi e indirizzi si accumulano ma una mappa, già in questo momento nella timeline di Volodine, sembra una tecnologia dimenticata eppure è qualcosa a cui sia le Ragazze che i poliziotti aspirano. Il contenimento ha bisogno di una mappa precisa. Come per compensare, Kaytel, insieme al vagare, si aiuta con occhiali magici e altri gadget da tecnologia del sogno.

Io e Breton eravamo gli unici ad avere accesso a quelle immagini. In seguito a chissà quale alterazione genetica, o perché nel corso di esperienze di rieducazione avevamo sfiorato la morte troppo da vicino o per altre oscure ragioni, potevamo vedere i
sogni dei morti.
(pag. 27)

Qualunque cosa per spingere avanti e indietro l’indagine e gestire il trauma incrementale che tutti i personaggi di Volodine subiscono e cercano, con il passaggio dei secoli e delle trasmutazioni, di risolvere. Gli umani non sanno davvero resistere alla pretesa di controllare la natura, la propria come quella fuori dal sistema a strati perturbati che è la coscienza, ma almeno sapevano narrare. E anche nell’esercizio di questa skill qualcosa si è rotto. L’indagine interessante è nell’eziologia di questa rottura oltre tutti i rimedi forniti da mille e altri ancora scrittori e scrittrici postesotici. Deve essere un’invenzione o una serie di scoperte. Una è sicuramente il campo di concentramento e le sue variazioni, gli strascichi del sogno atomico infranto, poi la possibilità della nostra estinzione divenuta reale in combinazione con le altre due. La serena e cangiante non plenitude di Volodine è ancora forte.

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