Lo scrittore usa la fortuna per creare il suo testimone vagante. Fortuna, termine che usiamo per semplificare la resistenza della realtà, quella forma di inerzia che fa fallire piani e pianificazioni scrupolose, il contatto con il nemico, la prova dei fatti, alcune e alcuni si salvano da una catastrofe. Così Álvaro Beltrán si salva. Non finisce ucciso dalla polizia messicana o da membri di un cartello. Il suo corpo non finisce incenerito, di notte, nel crematorio di una città che avrebbe solo dovuto attraversare insieme ai suoi allievi o, in quella che sarà una delle storie ufficiali, in un barile di petrolio in fiamme fino alla disgregazione dei denti. Una notizia che ha resistito qualche giorno dalle nostre parti, uno spettro, del collasso, trasformato in demone ad Ayotzinapa.
Una misteriosa forza che è narrativa e fisica porta Álvaro fuori dalla zona pericolo, a resistere a ferite e deserto, a superare una linea immaginaria ma solo nella speculazione lessicale qual è il confine tra Messico e Stati Uniti. E così Álvaro si avvicina a un nodo terminale e potente del flusso informativo: la California, San Francisco, la Silicon Valley. Arriva in un momento particolare, l’accumulazione di capitale è inedita e senza opposizione, forse è l’ultimo inverno dell’IA, nessuna impronta sulle sabbie marziane, una megadrought è in corso da anni. Sopravvissuto, creatura del collasso, in America, le finzioni dell’identità, sul sistema, tutte crollate; Álvaro, il professore, l’hacker, l’attivista, ha adesso bisogno di un lavoro.
La morte è un’ideologia come un’altra, dice Parker Hayes a una platea di gente a supposto alto quoziente intellettivo. Dice che la morte è un errore, un ostacolo dell’evoluzione, all’evoluzione. E Parker Hayes è un magnate del web, un miliardario, che propone un nuovo vecchio paradigma. Il suo transumanismo è di scuola ma ha i mezzi per sostenere le sue affermazioni. Non c’è altro da cogliere, i frutti dell’albero della tecnologia sono ormai troppo lontani, piccoli, tranne quello dell’immortalità. Il corpo deve essere hackerabile, le funzioni cellulari programmi che possono essere riscritti, organi che ricevono update. Parker ha bisogno di esperti in qualche modo annoiati, tecnici che trasferiscano idee nella realtà. Ha anche bisogno di cavie e questo è il lavoro che può offrire ad Álvaro. Un corpo senza organi è una tensione, intanto servono fegati e tessuti nuovi.
Adesso, quasi possibile, la nave di Teseo è una storia che parla di noi sul piano fattuale, operativo, della prossimità al reale. Sul quasi, il momento, l’intuizione appena giunta e non formata, si svolge il romanzo di Ducrozet. Ci siamo quasi, è un interregno di ingegneri e genetisti. I personaggi sono il materiale originario. Colpiti da traumi, una qualche forma di distacco dal corpo si svolge, il corpo è l’anima diceva il filosofo con martello. Traumi su traumi di specie, i personaggi di Ducrozet sono adesso pronti al cambiamento. Un tempo un corpo era pensato come orologio, automa, macchina a vapore; ora il corpo è un flusso di dati e informazioni.
Adelè e Álvaro viaggiano, attraversano ancora il deserto e altre linee fittizie. Cacciatori dalla realtà provano a fermarli. In Rumore Bianco un colpo di pistola stabilisce il momento in cui le narrazioni che si impilano collassano sotto la forza ineludibile della realtà. La coppia resiste, nell’orrore biopolitico anche autoinflitto, si aggrappano, attendono, eludono. Restare vivi, capaci, presenti, rimanere sani è l’unico drive degno di essere applicato, l’unica strategia di sopravvivenza valida.
Ancora.
Personaggi per nulla secondari, Lin, Sophie, Werner, sono rizomi che emergono nella lotta contro come la superstruttura tecnologica diffusa si sta formando. Sono in qualche modo i messaggi su pelle e organi dell’ultimo Cronenberg. Tutti compaiono come innesti nel caricamento delle scene dei personaggi principali. Un’Internazionale di hacker si forma in opposizione e per provare a recuperare un futuro interrotto di quello che doveva essere Internet e il suo mondo; i sogni di Parker continuano nel programma del necrocapitalismo che delira alternative. Altri, nei movimenti di cui si compone il romanzo, sorgono e determinano: il cervello di Einstein, l’Undici settembre. Non -solo- come presagi dell’Antropocene manifesto ma propulsioni immaginifiche. Ducrozet le centra tutte. C’è una catastrofe finale; i rizomi sono una speranza incarnata, nello svolgimento. Ciascuno un romanzo possibile per sé.
