Kim Stanley Robinson, The Ministry for the Future

The thirties were zombie years. Civilization had been killed but it keep walking the Earth, staggering toward some fate even worse than death.

Everyone felt it. The culture of the time was rife with fear and anger, denial and guilt, shame and regret, repression and the return of the repressed. They went through the motions, always in state of suspended dread, always aware of their wounded status, wondering what massive stroke would fall next, and how they would manage to ignore that one too, when it was already such a huge effort to ignore the ones that had happened so far, a string of them going all the way back to 2020.

Qualche giorno fa, IRL. Media del mese superata, scalatori morti sulle Alpi, pandemia, guerra, un altro virus supera linee immaginarie, inflazione, tassi d’interesse in aumento dopo decenni, overlook su crisi alimentare. Segmenti di un segmento di flusso informativo al telegiornale. Sono tutti la stessa notizia.

Il romanzo, oggi, tra qualche anno con lo stesso livello di CO2 ppm. Stato di Uttar Pradesh, C’è una progressione ma non sulle condizioni di umidità e calore. Il caldo notturno è terribile e presagio, poi l’alba. I generatori cedono, le linee elettriche come quelle del wireless in Savage Ecology collassano. Le macrostrutture del tardo Olocene sono inutili. Non c’è alcun posto dove nascondersi tranne forse nel fango di specchi d’acqua fantasma. Quella frazione di pianeta esce per qualche ora dalla goldilock zone. Forse da droni e satelliti il mondo sta a guardare. Venti milioni di persone muoiono per shock termico. È l’Antropocene manifesto; è una megadeath, una che ne promette altre, una prevedibile, prevista. Verso l’Estremistan climatico non ci sono -ancora- Cigni neri se non ingenui. Un uomo sopravvive, per caso, il fato; la grande livellatrice in azione.

Sembra esserci un momento, un singolo attimo diffuso in cui anche la catastrofe a Uttar Pradesh rischi di essere immediatamente oscurata, relegata a incidente, il denial e il business as usual cospirano come demoni della memoria di specie. Questa volta non accade, in molte, troppe menti su questo pianeta qualcosa accade, come un click.

Fiction/IRL: non è più possibile appellarsi a un fallimento dell’immaginazione. Quello che succede/succede è il fallimento dell’azione.

C’è uno shift e le potenze del mondo a una conferenza istituiscono il Ministero per il Futuro.

In India allo shock segue qualcosa di nuovo, un altro tipo di rivoluzione, violenta sul sistema colpevole, potrebbe diventare una sorta di ecofascismo e rischia di diventarlo nella sua ossessione per l’agire ma la violenza è solo una parte, una branca. Il governo conservatore viene sconfitto alle elezioni, un’altra Uttar Pradesh è uno spettro che troppi vedono, potrebbero essere i prossimi. Serve un’azione esecutiva, disperata, un lancio di dadi. Potrebbe andare male, potrebbe scatenare una guerra ma non importa: l’India intraprende un progetto di schermatura atmosferica, due Pinatubo, qualche anno, mese di tempo ancora, il tabù codificato della geoingegneria cade, il sistema delle caste viene finalmente demolito; attentati e omicidi mirati contro i responsabili si susseguono. Emerge il Climate Kali e Kim Stanley Robinson esorcizza gli altri Kaiju nell’opera di Mann e Wainwright.

L’Eurocene deve finire, l’India nel romanzo di Robinson è il faro, luce e oscurità, una possibilità continua di poter fallire, crollare come il sistema dei monsoni. Non c’è più tempo per la scala del progresso verso l’industrializzazione e oltre. Una generazione di combattenti deve sorgere per permettere a una di guardiani di sopravvivere.

Esiste un istinto di sopravvivenza di specie(?).

Quando finisce l’adolescenza tecnologica(?).

Come cade l’ordine neoliberista, scena per scena, tentativi e racconti che scorrono. Quello è un ordine che la capacità portante del pianeta non può reggere e Robinson mette in mostra, passano i decenni, alcuni, passo dopo passo, scena dopo scena. Piccole e grandi iniziative, l’unica azione efficace è quella collettiva. I singoli, i protagonisti sono tool.

Serve un altro modello di rivoluzione. Quello ancora una volta diffuso, complesso, multilivello, tecnico; quello proposto da Robinson, è credibile e funzionale. Una rivoluzione preparata, a cui molti, su tutto il globo, senza una qualche bandiera, partecipano.

Una soft apocalypse è in corso. Dolorosa, tragica, questo non va dimenticato. Il mondo paga il prezzo delle questioni non affrontate, della perdita dell’unica risorsa scarsa: il tempo.

Delle, molte uova vengono rotte. Una dialettica della violenza politica va comunque discussa, fermata. Qual è il valore di una vita umana nella Los Angeles di qualunque Blade Runner? E la felicità possibile in The Road? Umani sbagliano e provano in The Ministry, in fondo, come specie, siamo fondamentalmente autodidatti.

Gli eventi nel romanzo aiutano la rivoluzione senza nome. L’opposizione sembra senza energie, soggetti e gruppi con Götterdämmerung Syndrome, gli ultimi colpi del capitalismo zombie, l’emersione di un leviatano climatico in una potenza nucleare principale e soprattutto un’altra megadeath e/o un collasso completo dell’agricoltura sono le assenze del fato che aiutano. Sembra essere la fortuna che non ha avuto la società della Burning age di Catherine Webb.

Il capitalismo zombie, individui ed entità giuridiche, viene pian piano, in una completa panoplia dell’azione politica, distrutto. I complessi too big to fail cadono uno dopo l’altro, dinosauri di un’epoca passata, divoratori di risorse. La civiltà dei combustibili fossili era a tempo, uno che è scaduto e registrato sulle parti per milione di C02 che, come specie non possiamo permetterci di immettere nell’atmosfera e negli oceani. Il sibilo di fondo dell’estinzione e del collasso non permette a troppi uomini e donne di rimanere inerti ma altri vanno “svegliati” e il Ministero per il Futuro agisce anche con black ops e grey propaganda a Davos, nei corridoi del potere. Al Ministero si preparano proposte di tassazione, strumenti finanziari nuovi per il futuro, uno in cui decarbonizzare vuol dire investire sulla sopravvivenza delle specie, tutte.

Burocrati, assassini, attivisti, terroristi, ammiragli, capitolo dopo capitolo partecipano e inscenano tutto lo spettro della climate action. Il pensiero di intellettuali messo in mostra, in pratica. Massicce opere di geoingegneria non atmosferica nei ghiacciai, politiche di rewilding di livello continentale, scioperi dei debiti, tutte in concerto, per fermare l’apocalisse climatica qualunque cosa questa voglia dire.

Have you heard that the warming of the oceans means that the amount of Omega-3 fatty acids in fish and thus available for human consumption may drop by as much as sixty percent? And that these fatty acids are crucial to signal transduction in the brain, so it’s possible that our collective intelligence is now rapidly dropping because of an ocean-warming-caused diminishment in brain power?”

Ci sono navi container che vengono affondate in questo romanzo, in Annientare di Houllebecq, che colgono l’attenzione Emily St. John Mandel. Token visibile di una pre-archeologia dei sistemi dell’Antropocene forse.

Un demone oscuro delle coincidenze verso la fine del romanzo: la popolazione umana tende verso i due miliardi, la stessa inquietante cifra che si trova in The Population Bomb.

L’ottimismo di specie, la capacità di gestire catene di eventi senza facile determinismo, un umanismo chiaro e critico. The Years of Rice and Salt, Aurora, la trilogia marziana sono stati utili, tutti forse con un paradigma più profondo ma non importa.

Come cambia una civiltà sul baratro? Come crolla il potere divino del neoliberismo? Così.

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