John Lane: l’Antropocene in versi

Nel 2017 esce Anthropocene Blues (Mercer University Press) di John Lane, una raccolta che esplora in versi i battiti coordinati tra scala geologica e scala biologica, tra Età della Pietra ed Età del Blues, tra transizione olocenica e climate change, tra image making paleolitico e immaginario antropocenico. John Lane è una delle grandi voci del Sud degli Stati Uniti, poeta, saggista, nature writer, agitatore culturale, curatore del lascito intellettuale di autori come Barry Lopez e James Kilgo. E amico. Col suo consenso pubblichiamo qualche estratto dal volume (e due inediti) nell’elegante e asciutta traduzione di Lorenzo Mari. L’idea è traghettare in Italia un altro modo di fare poesia nell’Antropocene e sull’Antropocene, per allargare lo sguardo oltre la siepe nazionale. Qui da noi qualcosa certamente si muove, ad esempio con la scrittura di Laura Pugno e i suoi sondaggi sulla scrittura altrui, ma la poesia narrativa di Lane sembra intercettare, con lo sguardo di chi ha davvero frequentato la wilderness, il ponte d’ansia e di grandezza tra nervi umani e fragilità del mondo, tra un inner space macchiato dal presente e una cosmologia del Tempo Grande.

ANTHROPOCENE BLUES –

DOR*

Road kill is mind kill – some driver

lost in diminishing human

consciousness brought on

by modernity. The dead porcupine

displays his interior colors like

a brand. Quills once made into Truro

ceremonial headdresses and beaded

pouches. Now quills dissolve to greasy

stains. If we slowed down maybe

the whole wild ecosystem would be

overrun with porcupines. We are

nature’s hungriest predator. We are

clearing the shoulders for kith and kin.

            *

The groundhog’s last

pavement belly-surf shaped

a question: “O renegade

kin, blimped-out biped, was that

fossil salad you just burped to drive

you to my-last-there worth the cost

to either of us, drunk on our own

warm-blooded Post-epocal brew?”

*Dead on Road

*

VDS*

L’uccisione su strada è uccisione della mente – guidatori

smarriti nell’intorpidirsi della coscienza

umana che è un prodotto

dalla modernità. Un porcospino morto

esibisce i suoi colori interni come

un brand. Una volta gli aculei diventavano

copricapi cerimoniali Truro e borse

perlinate. Ora gli aculei svaniscono

in macchie bisunte. Se rallentassimo forse

l’intero ecosistema naturale

sarebbe invaso dai porcospini. Noi siamo

il predatore più affamato in natura. Ci stiamo

scrollando di dosso l’amicizia e la parentela.

            *

Nel suo ultimo surf di pancia su strada

la marmotta disegnò

una domanda: “Rinnegato

d’un parente, ciccione d’un bipede, è stata

l’insalata fossile che hai appena ruttato

a guidarti verso il mio-ultimo-qui che è valso il prezzo

a ciascuno di noi, nell’ubriacatura per il nostro

intruglio Post-epocale a sangue caldo?”

*Vittime Della Strada.

* * *

AFTER THE GREAT ACCELERATION

The Hotel Milan, Hangzhou

There were sheer curtains with no exit to the East

There were tables of blue marble, and the rooms had shag

the color of coral. The toothpicks had holes in the middle

There was a place called Freedom right down the block

There was a place of infinite allegories to the West

There was a place ending in exceptions known only to the locals

There was a place, but it was lost to green tea, export grade

There was a place at the feet of a thousand styrene Buddhas

*

DOPO LA GRANDE ACCELERAZIONE

Hotel Milan, Hangzhou

C’erano tende trasparenti senza aperture verso est

C’erano tavole di marmo blu, e le stanze avevano una moquette

color corallo. Gli stuzzicadenti erano bucati nel mezzo

C’era un posto chiamato Libertà proprio in fondo all’isolato

C’era un posto di infinite allegorie verso ovest

C’era un posto che finiva in eccezioni note solo ai locali

C’era un posto, ma era stato invaso dal tè verde, in quantità industriali

C’era un posto ai piedi di un migliaio di Budda di stirene

* * *

THE TRUTH ABOUT THE PRESENT

When rivers are intoxicated

with dioxide you gather lotus shoots

to pick their pockets is

the clock of the age

When the last songbird

shivers with undue cold wires overhead

to handle harsh metals is

the clock of the age

When your keyboard dissolves

in the pit of nations

to write in echoes is

the clock of the age

When you forge transparencies

in the foundries upstream

the bridges are blocked by karaoke

their digital sand is

the clock of the age

The cellphone’s face is always

time-dependent on fingers somewhere

today opens the nearby delta

and tomorrow

is the clock of the age

*

LA VERITÀ SUL PRESENTE

Quando i fiumi sono intossicati dal diossido

tu raccogli le gemme dei fior di loto

infilare le mani nelle loro tasche è

l’orologio del tempo

Quando l’ultimo usignolo trema

per il sovraccarico di freddi fili elettrici

maneggiare metalli duri è

l’orologio del tempo

Quando la tua tastiera si dissolve

nell’abisso delle nazioni

scrivere di eco in eco è

l’orologio del tempo

Quando forgi trasparenze

nelle fonderie a monte del fiume

i ponti sono bloccati dal karaoke

la loro sabbia digitale è

l’orologio del tempo

Lo schermo del cellulare immancabilmente

dipende dal tempo delle dita in qualche luogo

oggi spalanca le porte il delta qui vicino

e domani

è l’orologio del tempo

* * *

THE GEOLOGIST ON THE PLUTON

Old heat supports this poem composed

a thousand feet above the cove floor –

Natural history is a code I use to slough

a quarter billion years of erosion, the last

brief epoch supporting red oaks tattered

by wind and rain. Peregrines reef their

wings and plunge like weighted insults

in view of tourists trudged up from

the parking lot – dogs on leashes,

children dressed for Halloween

and one distraught father’s sullen

direction to the derisive

summit. The view waivers as each

group files in to plug their value

into the waiting landscape’s formula –

Someone points out a quarry so distant

the worked rock looks like a nick

in wedding china at a yard sale –

Another spots the pond like an eye

never blinking, pinched open by fringes

of forest bridled by November shadow –

Three women ask for their picture snapped

with corrugated ridges framing their pose –

They could be on the Empire State Building

if not for the overlook set on pure gneiss

and no elevator save for my imagination.

*

IL GEOLOGO SU PLUTONE

Il vecchio riscaldamento sostiene questa poesia composta

un migliaio di piedi al di sopra del suolo della grotta –

La storia naturale è un codice che uso per lasciarmi alle spalle

duecentocinquanta milioni di anni di erosione, l’ultima

breve epoca che ha sostenuto le querce rosse sbrindellate

da pioggia e vento. I falchi pellegrini riducono la vela

delle ali e vanno in picchiata come insulti pesanti

puntati verso i turisti che arrancano

fuori dal parcheggio – cani al guinzaglio,

bambini mascherati per Halloween

e le scontrose indicazioni

di un padre accigliato per un conclave

che lo deride. La vista vacilla mentre

ciascun gruppo s’incolonna per mettere alla prova

il proprio valore nello schema del paesaggio in attesa –

Qualcuno indica una cava così distante

che la roccia lavorata appare come un graffio

in una bomboniera di porcellana a una svendita in giardino –

Un altro intravvede lo stagno come un occhio

che non sbatte mai le palpebre, tenuto aperto da frange

di foreste bardate di ombre novembrine –

Tre donne chiedono di essere fotografate

con le creste rugose a incorniciarne la posa –

Potrebbero anche essere sull’Empire State Building

se non fosse per la vista che dà sul puro gneiss

e per l’assenza di un ascensore oltre a quello della mia immaginazione.

* * *

EROSION

I have poured myself into this borrowed vessel,

then stepped back to see me overflow; I have watched a liquid

leave the eyes of two dying dogs, and slip, a golden stream

over the sides, and pool below:

*

EROSIONE

Ho rovesciato me stesso in questo recipiente preso in prestito,

poi ho fatto un passo indietro per guardarmi tracimare; ho osservato un liquido

uscire dagli occhi di due cani morenti, e scivolare, un flusso

dorato sui fianchi, accumulandosi al di sotto:

* * *

CIRQUE OF THE TOWERS

glacial country

ten thousand seasons

snow-shaped, these ridges

Wolf’s Head, Pingora, Mitchell Peak, spires and jagged rock. Lodge pole pines skirmish with glacial till for a hold. Moraines like waves on the cirque’s slow geologic tide. Texas Pass in the distance, still snow there, and beyond, more wild country. The rest of the world recedes down the trail at my back, men and women in cars somewhere beyond our 12-mile hike in over Big Sandy Pass. Eight days here.

rock wall gray-shadowed

with first cirque sun

rustle of pine needles

someone calling

another down near

Lonesome Lake

The sun finally over Mitchell Peak. Warm sweet warm sun. So cold this morning, maybe now the gloves can come off. Wind yesterday. Bent two poles. Front right and rear right. Wind out of the north, sprinting across the cirque.

Boulders   pines   wind

another high country poem

like Rexroth’s

out there waiting somewhere

Tomorrow we return – no more mosquitoes, dirty socks, back to all the crust we call civilization. My heart is larger here, pumps a little truer, as if I remember a past when the world was like this – not just the altitude, or the glacier’s slow work, or the pines fighting the cold for their share. Not like that. Something more. Some idea of space and us.

like harmony

call it time to sit and see

hear a rock slide on a distant cirque wall

A sparrow wobbles through the grass, fat on gorp. The sun stumbles past the high continental divide. When I cross it I’ll spit, splitting the difference, forget my face, bearded here, when I shave it off.

pines won’t care I’ve left

no return

no leaving either

*

CIRCO DELLE TORRI

terra glaciale

diecimila stagioni

modellate dalla neve, queste dorsali

Wolf’s Head, Pingora, Mitchell Peak, guglie e rocce frastagliate. I pini delle dune combattono con le rocce sedimentarie per l’appiglio. Morene come onde nella lenta marea geologica del Circo. Texas Pass in distanza, lassù ancora neve, e al di là, altra terra selvaggia. Sulla pista alle mie spalle il resto del mondo retrocede, uomini e donne in macchina da qualche parte lontano dalla nostra camminata di 12 miglia sul Big Sandy Pass. Otto giorni qui.

muro di roccia con le ombre grigie

del primo sole sul Circo

fruscio di aghi di pino

qualcuno che chiama

qualcun altro più sotto nei pressi di

Lonesome Lake

Finalmente il sole su Mitchell Peak. Caldo dolce caldo sole. Tanto freddo stamattina, forse ora si possono togliere i guanti. Ieri vento. Due pini abbattuti. In avanti verso destra e verso destra all’indietro. Vento da nord, che s’invola attraverso il Circo.

Massi   pini   vento

un’altra poesia delle terre alte

come quelle di Rexroth

là fuori in attesa da qualche parte

L’indomani facciamo ritorno – niente più zanzare, calzini sporchi, di ritorno a tutta quella incrostazione che chiamiamo civiltà. Il mio cuore è più grande qui, pompa un po’ di più, come se ricordassi un passato in cui il mondo era così – non soltanto le altezze, o il lento lavorio del ghiacciaio, o i pini che combattono il freddo per mantenere la loro posizione. Non questo. Qualcosa di più. Una qualche idea dello spazio e di noi.

come armonia

chiamala tempo di sedersi e vedere

sentire una roccia rotolare su un muro distante del circo

Un passero ondeggia tra l’erba, gonfio di frutta secca. Il sole incespica al di là dello spartiacque delle Montagne Rocciose. Quando l’attraverserò, sputerò, mentre negozio il prezzo, dimenticherò la mia faccia, qui con la barba, quando mi raderò.

ai pini non importerà che me ne sia andato

non c’è ritorno

e neppure partenza

* * *

FIELD NOTEBOOK: ANTELOPE AMONG CATTLE

As landscape, antelope are the tan wind. Cows are stones in the field. On a crumbling bluff hillside outside of Sheridan for a moment they look like cows among cows. It’s that fences don’t stop them. They leap into the imagination in an atavistic way – as a snake on the road is never mistaken for a stick. A little bit of Pleistocene in Wyoming, their faces thick with the weight of a species worth of horns and rut. Cars pass and antelope mediate the distance.

Then antelope are a breeze from the 19th century. Two antelope watch the Wagon Box Fight, just below a line of pines, Fort Phil Kearny stark beyond the horizon. Red Cloud circled the wagons on a spotted pony. It was a true western, soldiers out to cut wood, pulling the flat wagons in a long line, and Red Cloud brooding in a draw, already a mountain. He shook his lance and circled as warriors circled like prairie hawks. The antelope were already the wind, or maybe they were winter coming on. The antelope were not annoyed by the first Springfield repeating rifles. This was a sign, the Sioux and Cheyenne falling like cottonwood leaves, Red Cloud and the battle moving like prairie fire through sage, the gunpowder smells.

Antelope keep their distance today, grazing still among cattle just off the interstate. Antelope carry their pronghorns among the cattle as the Red Cloud carried his lance among the soldiers. The cows carry their immense resignation up and down the pastures as wild antelope watch, mysterious as Red Cloud.

Men and antelope are strange to each other. Separate kingdoms. “Will you ever know what I am thinking,” I whisper in the direction of the distant antelope, not exactly to them. “Just listen, just listen.”

*

DIARIO DI CAMPO: ANTILOPI NEL BESTIAME

Come paesaggio, le antilopi sono lo scirocco. Le mucche sono pietre nel campo. Su un franoso promontorio fuori Sheridan sembrano per un momento mucche tra le mucche. Il fatto è che i recinti non le fermano. Scivolano nell’immaginazione in modo atavico – così come un serpente sulla strada non è mai confuso con un bastone. Un po’ di Pleistocene nel Wyoming, musi che portano il peso di una specie degna delle corna e del tracciato. Passano le macchine e le antilopi mediano la distanza.

Poi le antilopi diventano una brezza del diciannovesimo secolo. Due antilopi che guardano la battaglia di Wagon Box, poco sotto di un filare di pini, il profilo severo di Fort Phil Kearny oltre l’orizzonte. Nuvola Rossa accerchiava i carri al galoppo su un pony screziato. Era un vero western, con i soldati spediti lontano a far legna, e Nuvola Rossa, ormai come una montagna, con il timore di un nulla di fatto. Agitava la sua lancia e correva in cerchio insieme ai guerrieri come falchi della prateria. Le antilopi diventavano già vento, o forse l’inverno che stava per arrivare. Le antilopi non erano infastidite dai primi fucili a ripetizione Springfield. Questo era un segno, i Sioux e i Cheyenne che cadevano come foglie di cotone, Nuvola Rossa e la battaglia che si muovevano nella salvia come fuochi della prateria, odore di polvere da sparo.

Oggi le antilopi mantengono la distanza, brucando tranquille tra il bestiame a lato dell’autostrada. Le antilopi portano le loro corna tra il bestiame così come Nuvola Rossa portava la sua lancia tra i soldati. Le mucche portano la loro immensa rassegnazione su e giù per i pascoli mentre le antilopi selvagge guardano, enigmatiche come Nuvola Rossa.

Uomini e antilopi sono stranieri gli uni agli altri. Regni separati. “Saprete mai quello che penso?”, sussurro in direzione delle antilopi lontane. “Basta ascoltare, basta ascoltare”.

* * *

– DUE INEDITI –

* * *

SUGAR SAND

Everybody’s writing elegies 

why not me, ruminating now

feet above sea level, five miles 

out Cape San Blas, at low tide?

“This strand will be underwater

in fifty years,” Betsy says 

at breakfast, our B&B fellow

guests nodding in agreement,

then add their home range too,

Philly, another coastal hotspot

with city charter soon voided 

in a geologic minute

by climate change. Today 

seems at least superficially

a beauty, yellow butterflies,

a few migrating monarchs, 

a ubiquitous osprey fishing 

the shallow channel behind

the Inn. But the old normal 

is not the new normal,

instead, every glacier calves

oblivion. After breakfast 

we ascend twenty-foot dunes

at the state park, assembled

by prevailing winds, an eon’s 

easy tide. A woman huffs up 

from the gravel parking lot, 

complains “They make you 

pay for this view.” Her husband, 

tan as a vanilla wafer, stalls

before he can see the Gulf, 

his plastic Crocs filled 

with sand like concrete 

overshoes. When I achieve

the dune line’s last summit

I feel surprisingly distopic —

before me, Cormac McCarthy’s final scene in THE ROAD, 

a barren empty beach, 

a sliver of sugar sand, 

and slash pine, a few 

sharp blades of palmetto,

a raw ocean to the horizon’s 

end. All that’s missing is 

the beached plundered tanker

and the petroleum smell

of apocalypse. Back

at the B&B I watch a swarm

of dragonflies like black drones

case the yard, nothing hurried

about their tactics, as if feeding 

time goes on forever, as if

they know the end is gradual, like crabs in a pot of warm sea 

water, the burner on, all safe 

in our dark silos until it boils. 

*

SUGAR SAND

Un’elegia la stanno scrivendo tutti

perché io no, sto rimuginando adesso

che sono con i piedi sul livello del mare, cinque miglia

al largo di Cape San Blas, con la bassa marea?

“Questo tratto di costa tra cinquant’anni

finirà sott’acqua”, dice Betsy

a colazione, gli altri ospiti

del nostro B&B annuiscono,

poi aggiungono qualcosa sul loro home range,

Philly, un’altra zona calda della costa

con il regolamento cittadino che in un minuto

geologico è presto svuotato di senso

dal cambiamento climatico. Oggi

sembra almeno in superficie

uno splendore, farfalle gialle,

alcune monarche migranti,

un falco pescatore onnipresente

che perlustra il canale poco profondo

dietro l’Inn. Ma la vecchia normalità

non è la nuova normalità,

piuttosto, tutti i ghiacciai danno alla luce

l’oblio. Dopo colazione

saliamo sulle dune alte sei metri

del parco statale, assemblate

dai venti prevalenti, a favore di corrente

per un secolo. Una donna sbuffa

risalendo dal parcheggio di ghiaia,

si lamenta: “E ti fanno pure pagare

per questa vista.” Suo marito,

abbronzato come un biscotto alla vaniglia,

si blocca prima di poter vedere il Golfo,

le Croc di plastica piene

di sabbia come galosce

di cemento. Quando raggiungo

l’ultima sommità sulla linea delle dune

mi sento inopinatamente distopico —

davanti ai miei occhi, la scena finale della Strada di Cormac McCarthy,

una spiaggia vuota e desolata,

un pugno di sabbia di zucchero,

e pini della Florida, un pugno

di lame affilate di palmetto,

puro e semplice oceano fino

all’orizzonte. Manca soltanto

la petroliera arenata e saccheggiata

e l’odore di greggio

dell’apocalisse. Tornando

al B&B osservo uno sciame

di libellule che come droni scuri

puntano il cortile, niente di affrettato

nelle loro tattiche, come se l’allattamento

durasse per sempre, come se

sapessero che la fine è graduale, come granchi in una pentola di acqua di mare

calda, il fornello acceso, tutti al sicuro

nei nostri silo scuri almeno finché non bolle.

* * *

Antithesis to the Narrative of the Obvious Future

(For Matteo Meschiari)

Here is an outcrop with a handy cave and an alcove hut where

a hermit (or monk) scratches a lion.

Here is the city with views and 

access to all precipitous pinnacles. 

The cathedral is secondary to 

topography again, this time forever. 

Here is the countryside sliding 

beneath the city with abundant pasture where ecologues hover. 

At the edge of known weather 

another world storms the horizon. 

If there is forest, it is essential and 

balanced for the eye to harvest. 

If the other lion, retreating along 

the path of righteous pilgrims, 

is not soon subdued

somebody’s ox will die. 

Until then, the mountains are 

threatened with blue mascara. 

Until then, another opportunistic 

epoch of ocean floods the bay. 

*

Antitesi alla narrazione di un futuro scontato

(per Matteo Meschiari)

Ecco un promontorio con una bella caverna e nella nicchia una capanna dove

un eremita (o un monaco) arruffa un leone.

Ecco la città con le vedute panoramiche e

gli accessi che danno su tutti i pinnacoli a precipizio.

La cattedrale è di nuovo secondaria rispetto

alla topografia, e stavolta per sempre.

Ecco la campagna che si distende oltre

la città con rigogliosi campi dove pascolano gli écologues.

Ai margini delle risapute condizioni meteo

un altro mondo infuria sull’orizzonte.

Se c’è foresta, la mietitura è essenziale

ed è un fatto di equilibrio per gli occhi.

Se l’altro leone, che batte in ritirata

sul cammino dei giusti in pellegrinaggio,

non verrà presto sottomesso,

a morire sarà il bue di qualcuno.

Fino a quel momento, le montagne sono

minacciate dal mascara blu.

Fino a quel momento, inonda la baia

un’altra epoca opportunista dell’oceano.

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