Dei bambini giocano in una foresta, l’incendio divampa, un mostro appare, i sopravvissuti comprendono qualcosa sull’essere umani. Passano degli anni e un bambino diventa un uomo che domina molte lingue morte e morenti e adesso deve fermare una rivoluzione.
Sul quando possiamo solo fare una stima. Qualche generazione, meno di un paio di secoli, tre o venti volte il tempo necessario per il rewilding autonomo della zona di esclusione di secondo livello intorno a Chernobyl, il tempo per il collasso di un ponte ad arcate in acciaio lasciato senza manutenzione. Una parte della timeline de Il mondo senza di noi (2017) è stata percorsa. Segni di disgregazione del cemento armato, il terreno riassorbe antico asfalto e insieme cicli biogeochimici sembrano tornati a livelli pre-industriali, la capacità portante della biosfera ristabilita, la progressione verso l’estinzione della razza umana interrotta. Una serie di apparenze. Deve essere stata la fortuna della specie, forse la capacità di “accumulare scorte e costruire bunker”, l’occupazione di tutti gli habitat, l’adattabilità. Sono passati abbastanza decenni perché nessuno dei personaggi soffra una qualche forma di sindrome del sopravvissuto e non vi è traccia di un qualche culto degli antenati in un bottleneck genetico, segno che molti e molte comunità hanno resistito. La foresta ricresce. Qualche miliardo di esseri umani non cammina più sulla terra. Ci siamo ancora.
It was about the time of the great migrations, when all the nations began to splinter like the burning bough and the wars of water and grain came upne the lands, that the kakuy woke. First they rose from the skeletons of the ocean reefs, glistening bone and acid breath. Then they climbed from the shattered mines, and their eyes were embers of coal and their feet broke the towns beneath their feet. Then they came from the sky itself, upon thunder and lightning they blazed, tearing down the monuments of man and bidding the earth swallow whole the sacrileges of the Burning age.
Il dove è immediato, da qualche parte di quella che noi chiamiamo Europa centro-orientale. Non deve essere un caso: minor densità di popolazione, terre coltivabili, lontane dal mare, ampia capacità portante, acqua dolce in abbondanza. La grande foresta post-glaciale si riappropria dell’Europa. La scelta del setting rinforza echi e segni post-esotici. L’agricoltura è di nuovo possibile, non intensiva ma capace di sostenere ampie popolazioni urbane. Ampie inteso in un nuovo/antico modello di sviluppo: lento, attento. Accelerato e intensivo sono caratteristiche della Burning age. Non c’è molto tempo per il post-apo pastorale però, spettri del passato sono liberi, demoni attendono di essere liberati quindi sono già liberi. Templi e monumenti vengono costruiti e ricostruiti. Si ergono cattedrali senza la siderurgia. Una foresta brucia, bambini muoiono, pompieri volontari in bicicletta arrivano, la velocità dell’azione immediata è impossibile e all’incendio non importa. Quel tipo di velocità era la causa stessa dell’incendio che voleva spegnere.
Città, le antiche capitali della regione con nomi appena deformati, sono state ricostruite e prosperano. Organismi statuali si coordinano, lo state building è sofisticato almeno nell’area. Si è formato un Consiglio tra le Provincie, la parola stato sparita. Ci sono ferrovie, collegamenti radio e telegrafici. Rare automobili elettriche si arrampicano su strade sterrate e fangose. La civiltà è salva, almeno da quelle parti. Nessuna notizia dall’Occidente europeo o dall’Italia, aree dove forse le comunità umane sono irrilevanti, troppo primitive o semplicemente sparite. Anche qui il Paese delle città non regge. La città come tecnologia è rifiutata dalla popolazioni rimaste nella steppa euroasiatica: i russofoni sono completamente nomadi, un salto di fede ulteriore nel passato. Dall’altra parte del continente la Gran Bretagna e le sue immense mura dual use: bloccare l’innalzamento delle acque, tenere fuori i rifugiati climatici. Da una parte le rovine abbandonate di Mosca e Pietroburgo, dall’altra una spietata pulizia etnica e forse l’ultima enclave della razza bianca dove dei neodruidi sacrificano “mongrels” agli alberi forse per disinnescare la profezia del finale de Il racconto dell’Ancella ma non la stagnazione tecnologica de L’uomo nell’alto castello. Neonomadismo e Behemoth eliminazionista sono i due sistemi agli estremi dello spettro in questo post-Burning age ma è al centro che si svolge la scena. In tutto lo spettro c’è una frequenza però comune a tutte le società conosciute e ha un nome: Kakuy.
Il mondo è ri-conoscibile eppure osservando attentamente si può vedere cosa manca, l’elefante nella stanza, l’elefante che ha convinto tutti di essere la stanza stessa. Claire North immagina e trasferisce al lettore, oggetti e scena e concetti, l’informazione: il capitalismo è finito con la Burning age. L’ormai famosa sentenza “è più facile immaginare la fine del mondo che…” è la sfida della narratrice e del narratore nel romanzo dell’Antropocene. Qui quel limite pre-narratologico è superato in modo brillante da Claire North.
Those who survived fled to the last of the forests and the sacred hidden places, their thousand tongues blending into new language, their ancient ways changing as does the scudding sky.
From their prayers, Temple was born.
È il collasso degli oggetti di Ward-Perkins che persiste ma come sistema collettivo di sopravvivenza. L’ultimo aereo è, probabilmente, precipitato secoli fa. Non ci sono eserciti come in Interstellar e, come nel film, quella che descrive Claire North è forse l’ultima generazione di guardiani proprio come nel film. A sovraintendere la guardiania della natura e della specie umana stessa è un culto, un’organizzazione che sembra presente su tutto il mondo osservabile: Il Tempio. Procede a una predicazione semplice come impedire qualunque progressione al consumismo, tagliato un albero ne va piantato uno. Diffonde, vaglia, controlla, vieta la diffusione e l’utilizzo della produzione non letteraria della Burning age. Sono gestori di archeotech e dichiarano eretici alcuni saperi: fracking, linee guida per la pulizia etnica, fucili automatici, chimica industriale, armi di distruzione di massa. Oro infernale in pdf, schemi tecnici, dépliant digitali per fiere d’armi magari, tra yottabyte di porno e small talk elettronico. Server e hard disk sono stati nascosti in miniere profonde e installazioni sotterranee da coloro che hanno visto la fine del mondo, ancestor che hanno evitato una perdita definitiva del flusso informativo, una catastrofe tra le catastrofi che avviene tra i due Blade Runner. Nel racconto Fire in the Earth (Hold Up the Sky, 2020) di Cixin Liu una altrettanto letterale burning age viene scatenata dal tentativo di liquefare il carbone. Il rischio viene ponderato dai personaggi in un processo di valutazione prossimo a quello che devono aver fatto gli scienziati nelle aule e nella mensa del Progetto Manhattan. La creazione di un X risk sembra una pulsione naturale dell’umanità dell’Antropocene. Il Tempio procede quindi a un controllo di questa pulsione, vaglia e tiene nascoste i nomi dei demoni e gli incantesimi per evocarli. Forse il Tempio spinge, sollecita, magari anche cospira, per un controllo delle nascite ma di questo non c’è traccia nel testo della North.
On its walls are new reconstructions of ancient paintings – men with hands resting upon the globe they wished to conquer, swords at their sides, moustaches primed and chins high. At the feet of some, the sextant and the lead weight, for these are men Who have mastered the earth as well as each other, and throught themselves greater than the fury of the skies.”Our past was glorious – why should we hide?” demand the Assemblymen, and they have a point, for shame was never as comforting as lies.
Superato il problema della sussistenza come civiltà altri costrutti sociali vengono, pian piano, riscoperti. Ci sono bar, la profezia del raccolto viene mantenuta anno dopo anno. C’è tempo e risorse per ricordare, elaborare e pensare: che i raccolti senza una catena del freddo tendono a marcire, che la Burning age ha portato l’apocalisse sul mondo e a pochi minuti l’umanità dall’estinzione ma era un’epoca di abbondanza. Alcuni speculano sull’abbondanza dimenticando la scarsità che la stessa produceva. Si forma un elogio della diseguaglianza, la nostalgia dell’aria condizionata, la velocità perduta, il presunto piacere dell’automobile dimenticando la schiavitù della stessa, la malinconia dell’hot dog alla partita di baseball sempre in Interstellar, la passione per la marcia e la divisa. L’accesso incondizionato all’estrazione delle biglie di Nick Bostrom è la prima parte del piano, del resto tutte le biglie estratte dall’Uomo sono grigie. Il predatore alfa insicuro rivuole quello che ha avuto con la signoria maldestra della biosfera perché questo fa parte del programma umano e quello che è accaduto qualche tempo fa è stato un caso, sfortuna. Tutto questo vuole la Brotherhood, il suo capo carismatico predica ma con azioni e operazioni un reboot non creativo della Burning age. Nata probabilmente in una taverna i fondamenti di suprematismo umano della Brotherhood si diffondono e sono un altro incendio. La panoplia della Brotherhood, materiale e ideale, è quella di un sofisticato apparato politico con tutti i tool della guerra rivoluzionaria della Burning age. Al contrario il Tempio è un esperimento, in corso, sulla possibilità che la civiltà umana sia compatibile con il pianeta su cui è sorta. Il Tempio, nella sua struttura di pensiero non è preparato a gestire quello che è un attacco dal passato da parte della Brotherhood. Uno dei tabù principali del Tempio, come di tutta la comunità di entità statuali, è quello della guerra, niente fa adirare di più i Kakuy della guerra.
Sui Kakuy la valutazione sul testo è complessa. Alla fine della Burning age il mito in formazione vuole che esseri siano apparsi, abbiano distrutto città e gli eserciti mandati a combatterli. Si legge le narrazioni di diversi tipi di Kakuy. Animali dalle foreste in fiamme, mostri dalle profondità della terra e degli oceani e poi gli ultimi e sembra i più potenti ovvero i Kakuy del cielo capaci di far piovere fiamme e distruzione sulla superficie terrestre. Sorti nell’ultima fase della Burning age, forse durante una guerra mondiale, scatenati dall’uso di armi di distruzione di massa, sono un ricordo ancestrale ormai comune. Le nebbie del mito, la loro scomparsa, l’apparizione in situazioni traumatiche forse sono un’operazione di psy-ops dei primi sopravvissuti ai topici e terribili primi 100 giorni dall’apocalisse, forse sono esseri dell’agente Gaia, esperimenti fuggiti al creatore o fantascientifiche bioarmi, non lo sappiamo e narratori e testimoni sono inaffidabili per rischio morale e ideologico o attendibili come la testimonianza di una vittima di un evento violento o catastrofico. I Kakuy sono certamente una cosa: una manifestazione di un geotrauma, la rielaborazione delle asimmetrie scatenate dal collasso di tutti i sistemi complessi. La paura per un loro ritorno mantiene i fiumi puliti, le foreste intatte, l’orrore lontano. Il trauma sulla psiche collettiva delle megadeath avvenute è stato immenso ma un survivor bias generazionale si attiva. Così come l’apparato ideologico del Tempio è incapace di gestire asimmetrie e il rischio esistenziale rappresentato dalla Brotherhood anche quest’ultima ha delle serie e profonde tare nella sua macrostrategia: la biosfera, con o senza la presenza reale dell’agency aliena dei kakuy, non è più quella che ha permesso il procedurale del progresso economico. Essa infatti è ancora, terribilmente, fragile. Se la lotta contro le tare della specie condotta dal Tempio è imperfetta, di un ingenuo utopismo sul legno storto, quello che vuole la Brotherhood è semplicemente suicida. Sopravvissuti, in denial, ripropongono un Principle of Plentitude (X-Risk, Thomas Moynihan. 2020) uno dei die hard del pensiero umano. La tragedia dell’umano nell’Antropocene è solo rimandata.

Il colpo di scena finale è debole ma non importa a nessuno. Notes from the Burning age è un thriller politico in cui operativi cercano di attuare o impedire che un ennesimo megacrime si compia. La fattispecie della guerra del futuro sul passato si svolge tra spie, infiltrati, milizie e demoni e fantasmi. Claire North svolge uno scenario dal futuro, in qualche modo protagonisti e personaggi che lo affollano sono adesso.