5 trope nel Romanzo dell’Antropocene / Gent Log

Il testo che proponiamo qui è alla base del paper letto alla International Conference “Contemporary Literature and the Environmental Imagination”  (Gent, 29 November – 1 December 2021). Come emerso dalla discussione, le nuove parole-chiave che abbiamo isolato in un uggioso weekend modenese sono 5, ma potrebbero essere 7 o 12 o non importa. L’idea è che secondo noi servono come coordinate cartografiche/narratologiche per riconoscere nella fiction contemporanea il romanzo del/nell’Antropocene (fiction appunto, i.e. narrativa, novella, romanzo, racconto, non “letteratura” in generale, tantomeno poesia…) uscendo dalla gabbia asfittica e fallimentare (almeno in Italia, con rare eccezioni che segnaliamo) della distopia, della climate novel e della fantascienza antropoocenica. Ovviamente non sono solo strumenti per saggiare nel contemporaneo quella che Niccolò Scaffai ha chiamato a Gent “funzione Antropocene”, ma sono anche coordinate in qualche modo programmatiche per dare spazio di esistenza a nuove scritture possibili.

1. TRAGEDIA

Amitav Ghosh elabora il termine ne La grande cecità (2017) quando parla degli effetti dell’imperialismo britannico sullo sviluppo industriale indiano e dice chiaramente che, se non fosse stata una colonia inglese, l’India avrebbe effettuato il salto da un’economia principalmente agricola a un’economia industriale anche 100 anni prima. Un’India senza la colonizzazione inglese si sarebbe certamente risparmiata gli orrori dell’Imperialismo, come la serie di disastrose carestie tra cui quella del Bengala del 1770, allora stesso tempo un’India che comincia a immettere CO2 e altri gas di risulta di procedimenti industriali avrebbe accelerato in maniera catastrofica il global warming attuale, anticipandolo di decine di anni.

Possiamo chiamarlo il “Paradosso del Superdome”: durante lo sfollamento nel grande stadio di New Orleans durante l’uragano Katrina, i generatori si fermano, innescando una spirale di violenza oscura e distopica. Il gasolio, che dovrebbe proteggere le persone, finisce inspiegabilmente, ed è lo stesso gasolio che, corresponsabile del cambiamento climatico globale, è all’origine dell’uragano distruttore. La tragedia consiste nel fatto che il generatore deve andare avanti per evitare la catastrofe, ma andando avanti è generatore di catastrofe. Le catastrofi, insomma, sono sempre esistite, ma la “variante antropocenica” consiste nell’estensione su scala globale di un paradosso di sopravvivenza.

Nel romanzo dell’Antropocene il nucleo tragico non riguarda individui ma un intero sistema su più dimensioni, principalmente quella temporale. La tragedia del romanzo dell’Antropocene si compone di bias e dissonanze cognitive in concerto con le due categorie del futuro interrotto e del passato tradito.

L’elemento tragico è presente nello scenario “lifeboat” di Parenti in Tropic of Chaos (2011). Nel romanzo dell’Antropocene questa tragedia è amplificata nel “cosa si poteva fare, come potevamo gestire, cosa avremmo potuto portare con noi e non lo abbiamo fatto”.

Esempi:

In Qualcosa là fuori (2018) di Bruno Arpaia il protagonista, un professore anziano in una carovana di profughi climatici dal sud Italia diretti verso la Scandinavia, diventata una “fortezza regionale”, ricorda un turning point del passato: il momento in cui la Marina Italiana apre il fuoco contro barche di altri rifugiati climatici dall’Africa. Nel dramma che il protagonista sta affrontando, il pericoloso viaggio attraverso il nord Italia e la Germania, ridotte a wasteland in mano a bande di comunità di sopravvissuti in cerca di cibo e acqua, è il risultato della tragedia svoltasi nel Mediterraneo anni prima. L’Italia e poi l’Europa non riescono a gestire i flussi migratori e la pressione sulle risorse essenziali, l’uso delle armi su popolazioni inermi è un momento apicale e la piramide del collasso si svolge fino alle estreme, ulteriori conseguenze.

In Notes from a Burning Age (2021) di Claire North l’umanità sembra essersi rialzata dopo una serie di eventi catastrofici a seguito di un collasso dell’ecosfera, probabilmente una nuova guerra mondiale e, successivamente, forse come “risposta” all’uso massiccio di armi di distruzione di massa, una serie di attacchi da parte di esseri mostruosi, i Kakuyu. In Europa, l’ambientazione del romanzo, il controllo delle tecnologie della “Burning age” è affidato al Tempio, una religione le cui istanze anticonsumistiche, di progresso in armonia con la natura, “gaiane”, si scontra contro la Brotherhood, un movimento rivoluzionario di suprematisti umani. Ne seguirà una guerra. La tragedia è l’incapacità di Homo sapiens di rompere il ciclo dell’affermazione come predazione.

2. SGOMENTO

Al cosmic dread o cosmic horror il romanzo dell’Antropocene contrappone un’altra reazione: lo sgomento, il bewilderment. Non c’è alcun orrore dell’inconoscibile, del non elaborabile. Gli effetti del climate change sono conosciuti, conoscibili, elaborabili come scenario anche nei suoi eventi imprevedibili dovuti al fatto che mai nella preistoria e storia umana il livello di C02 era stato così alto. Persino l’immensità di aver causato l’interruzione o il ritardare il ciclo naturale-astronomico delle glaciazioni è elaborabile per la mente umana. L’Iperoggetto climate change/warming sta diventando sempre più gestibile dalle nostre facoltà cognitive e immaginative come sistema di elaborazione narrativa e olografica.

Di fronte a un essere lovercraftiano, a una città ligottiana il personaggio crolla in una sorta di freezing, rimane immobile, facile preda, inerte. Lo sgomento del romanzo dell’Antropocene ha lo stesso effetto ma su una generalità, sulla massa, sulla popolazione globale. Nessuna risposta scomposta. Lo sgomento immobilizza e nega l’azione, anche quelle elementari come la fuga o la rabbia, e consiste nel vaporizzarsi del knowing verso il puro trasalimento attonito, intuitivo, prelogico del to realize.

Esempi:

Bewilderment (2021) di Richard Powers. Parallelo allo svolgimento della dinamica principale padre-figlio una serie di eventi si susseguono sullo sfondo negli Stati Uniti: epidemie, rivolte, elezioni contestate. Il Presidente in carica, specchio e alternativo a Donald Trump, perde le elezioni, riesce a bloccare il passaggio dei poteri, procede, in un clima di terrore e sgomento a far ripetere le elezioni che lo danno sconfitto e, dopo molti mesi, riesce a essere rieletto. La popolazione generale non si oppone, qui, espressamente, Powers usa il termine bewilderment, che in inglese riecheggia lo smarrimento dell’essere umano nei luoghi profondi della Wilderness, che non è semplice natura selvaggia, ma alterità non umana irriducibile. Come restare paralizzati davanti a un megapredatore. Nel romanzo di Powers l’allusione è anche a un’America attuale ormai regredita in modo carsico a un Wild West mccarthiano.

Lo sgomento, nelle caratteristiche illustrate, è la risposta diffusa, standard, “umana” nel romanzo dell’Antropocene.

Così come in Anna di Ammaniti (2015) vengono descritti i “palermitani”. La Rossa, un virus pandemico con un altissimo tasso di mortalità si diffonde in Europa. La madre della protagonista, dal suo rifugio attrezzato in campagna, osserva come i cittadini non riescano a seguire le disposizioni sul lockdown, non facciano “l’isolamento”, come immobilizzati, incapaci di elaborare. E così, tra lo sgomento generale della popolazione crolla la civiltà.

3. NO PLACE TO HIDE

Il romanzo dell’Antropocene, nella sua produzione diffusa da molteplici autori e autrici di diversa nazionalità e background religioso e culturale sembrano rispondere con le proprie opere alla questione, narrativa e non, dell’Escapismo. Dove andare quando uno o multipli eventi colpiranno? The city on the hill, Marte e il sistema solare, il bug out dei survivalisti, il Grande Nord, le ecofortezze sono alcuni dei costrutti immaginativi dell’escapismo. Questa lista di esempi da integrare con tutte le declinazioni possibili, ha diversi e vari gradi di denial, attuabilità, resistenza alla realtà. Sono tutte ambientazioni del romanzo dell’Antropocene e tutte hanno uno specchio narratologico unico, ovvero il No place to hide. Questo trope viene dal titolo dell’omonima autobiografia di Edward Snowden e si riferisce all’impossibilità di un individuo di sfuggire e nascondersi dai sistemi di sorveglianza elettronica di massa. È il risultato della mancata preparazione, coordinazione, accettazione di scenari di previsione da parte di una autorità centrale, un “collasso dell’immaginazione” per citare uno degli intervistati di Perché non eravamo pronti (2020) di David Quammen.

Ci sono necessità narratologiche nuove che formano il No place to hide nel romanzo dell’Antropocene. Personaggi sono spinti ad abbandonare i luoghi in cui cominciano le rispettive fiction per muoversi e poi muoversi ancora perché appunto non c’è alcun luogo dove nascondersi dalle pressioni dell’Antropocene, e sembrano anche esaurite quelle capacità umane e tecniche che permettono a un Neville di rimanere asserragliato per decenni, in salute fisica e, da ponderare, mentale.

In questo il romanzo dell’Antropocene sembra anche suggerire una soluzione di sopravvivenza ottimale, ovvero lo shift dall’urbanesimo contemporaneo a un neonomadismo due minuti nel futuro.

Esempi:

Ne I figli del Diluvio (2021) di Lydia Millet, i protagonista, bambini e adolescenti, affrontano una serie di uragani e il caos successivo. Lasciano i genitori, ritratto di un collasso cognitivo in corso, nella villa che occupavano per le vacanze e cominciano ad allontanarsi verso l’entroterra. Una serie di eventi continuano a spingere i protagonisti verso un distacco totale dal sedentarismo e dai limiti cognitivi degli adulti.

Ne Il mondo dietro di te (2021) di Rumann Alam una famiglia affitta una casa di campagna per delle vacanze lontane dalla routine di New York. Si ritrovano in una “nebbia di guerra” o nebbia informativa, impossibilitati a sapere che è in corso una serie di azioni di guerra asimmetrica contro gli Stati Uniti: black out, colpo di stato, gray propaganda, un attacco con armi battereologiche. La casa in cui si trovano è equipaggiata per “resistere” isolati eppure gli eventi lontani si avvicinano e la situazione diventa sempre più non “sostenibile”.

In Soft apocalyse di Will McIntosh (2011) il protagonista alterna, per tutto il libro, periodi di nomadismo di sopravvivenza a periodi di stabilità abitativa e lavorativa, in uno svolgimento che è tutto un’illustrazione di come un collasso si svolge con un andamento ondulatorio, composto di accelerazioni e rallentamenti, dove il drive principale è quello della mobilità perenne mentre la città come hub di sicurezza e stabilità è uno spettro.

4. MEGACRIME

Definiamo megacrime quelle attività criminose e cospirative che hanno come obiettivo e/o effetto un danno grave e irreparabile, definitivamente o riparabile solo nel lunghissimo periodo, alla civiltà umana e al suo potenziale futuro. Una guerra nucleare globale totale, uno scenario che prevede l’attacco indiscriminato di città, non costituisce, legalmente, un crimine. La distruzione della biosfera e i danni generazionali che ne seguono invece sì, vedi On thermonuclear war (1960) di Herman Khan. Un megacrime tenta o ha come risultato un evento che causa megadeath, la morte di individui in una scala di centinaia di milioni o miliardi e in prospettiva transgenerazionale.

Un megacrime realizzato si svolge ad esempio nel romanzo di Dan Brown, Inferno (2013) in cui si si diffonde nella popolazione globale un’arma bioingegnerizzata capace di ridurre il potenziale demografico dell’umanità causando sterità di massa.Il concetto di megadeath è sviluppato e analizzato dal Future of Humanity Institute, del dipartimento di filosofia dell’Università di Oxford. La letteratura fantascientifica, come la filmografia con protagonista James Bond, illustra da sempre megacrime realizzati o sventati all’ultimo minuto. Nel romanzo dell’Antropocene la fattispecie pre-giuridica di megacrime si estende. Nella raccolta di saggi Global Catastrophic Risk (2011) a cura di Nick Bostrom e Milan Cirkovic uno dei rischi catastrofici globali è ad esempio quello dell’emersione di un regime fascista negli Stati Uniti. L’inazione a rischio catastrofico globale del global warming, rientra nella fattispecie del megacrime. Il Climate Behemoth descritto ne Il nuovo Leviatano (2018) di Geoff Mann e Joel Wainwright è, per sé, ideatore ed esecutore, principale o secondario, di un megacrime contro la popolazione mondiale.

Esempi:

In Remembrance of Earth’s Past (2008 – ) di Cixin Liu si svolgono tutte le fattispecie di megacrime e tentato megacrime. L’Escapismo ovvero, di volta in volta, di era in era nello svolgersi della trilogia, la tattica dei singoli, la strategia complessiva, l’ideologia di abbandonare il pianeta Terra per sfuggire al prossimo attacco trisolariano, viene messo fuori legge. Questa decisione politica, postura ideologica e scelta strategica, valida, razionale ed efficace in un certo momento, dogma in un altro, diventa un megacrime in seguito e la civiltà umana terrestre ne paga il prezzo finale. Un megacrime sono anche le azioni della “quinta colonna” umana di Trisolaris che, con una serie di omicidi mirati, tenta di rallentare e bloccare il progresso tecnologico umano. Due fattispecie di megacrime si svolgono in Ants and Dinosaurs, (2020) sempre di Cixin Liu: quello dei dinosauri che non vogliono limitare la propria “way of life” portando il pianeta sull’orlo del collasso ecologico e, probabilmente per le spinte del cambiamento climatico sauropico, stanno per scatenare una guerra nucleare; quello delle formiche che, convinte che l’eliminazionismo sia l’unica via per fermare l’ecocidio in corso a opera dei dinosauri, scatenano una campagna di massacro contro i dinosauri.

In Trump Sky Alpha (2019) di Mark Doten, Donald Trump è rieletto e a bordo di dirigibili vende la sua presenza al mondo. Trump è però solo un catalizzatore, l’occasione, il prodotto di una rete di hacker, creatori di meme far right e terroristi estinzionisti, la Voliera. Internet, la tecnologia ideata per resistere a un attacco nucleare, è diventato altro: lo strumento per realizzare un destino, ovvero l’apocalisse. Nel caos ulteriore causato da un blocco della Rete una guerra nucleare comincia e finisce, il sogno nero di rospi memetici e di Dante Virgili si realizza, un megacrime si è compiuto.

5. TEMPO PERDUTO

Sapevamo, Potevamo, Dovevamo… In Perdere la terra (2019), Nathaniel Rich procede a un metodico excursus di come si perde il tempo nell’Antropocene illustrando azioni, conferenze, occasioni perdute e irripetibili per la lotta al cambiamento climatico nel decennio che va dal 1979 al 1989. La “scienza” del cambiamento climatico, il ruolo della CO2 e alcune posizioni chiave nella politica americana stavano per combinarsi in uno scenario in cui una tempestiva, previdente lotta al cambiamento climatico sarebbe stata considerata d’interesse prioritario. Non è successo e al contrario è in quel decennio che monta in maniera metodica e organizzata la narrazione del negazionismo climatico. Ecco che il Tempo Perduto nel romanzo dell’Antropocene non è, come nella letteratura moderna dell’Olocene, un leitmotiv dell’interiorità, dello svolgersi della memoria chimica, un’elaborazione biocentrica, un malaise, uno spleen, un rimpianto, ma è la cognizione, la presa di coscienza collettiva che è in corso una guerra contro il presente (vedi Tenet di Christopher Nolan) che poteva/può essere ancora vinta. Questa sconfitta già realizzata o potenziale, la responsabilità della stessa, azioni e mindset per non perderne ancora, nel romanzo dell’Antropocene sono appunto collettive, elaborate, cognitivamente accettate, tanto da comporre un quasi iperoggetto narrativo che riguarda i viventi tutti e l’essere autocosciente in particolare. Il Tempo Perduto crea nello svolgimento dei romanzi dell’Antropocene quella che possiamo definire una onnipresente climate sadness.

Esempi:

Ne Il crollo della società occidentale (2015) di Naomi Oreskes e Erik Conway, uno storico cinese del futuro espone gli errori delle democrazie occidentali nell’affrontare le catastrofi dell’Antropocene manifesto che porterà al loro collasso. L’emersione di un Climate Behemoth (quel complesso di pensiero politico negazionista, neoconservatore, xenofobo che ritiene di poter fermare l’Antropocene manifesto, quindi il tempo, erigendo muri e aumentando il controllo della popolazione) negli Stati Uniti è descritto come il tentativo di riportare le lancette dell’orologio indietro, immettendo rigidità culturali e materiali di fronte a una situazione climatica e dell’ordine pubblico sempre più fluida.

Anche ne Il Racconto dell’Ancella (1985) di Margareth Atwood uno studioso del futuro organizza una conferenza su una “bizzarria” della storia passata “dell’Uomo bianco”, ovvero la Repubblica di Gilead. Difred, la protagonista, subisce prigionia, abuso, stupro sistematico “ritualizzato” e rivede, visione che viene sviluppata ulteriormente nell’omonima serie tv, tutti i segnali che hanno portato alla sua condizione nel presente narrativo. I Figli di Giacobbe erano sempre stati lì, non avevano ancora il potere, il Presidente, il Congresso e la Corte suprema non erano stati ancora eliminati in orribili attentati, la popolazione era stata pian piano preparata ad accettare il crackdown contro “la donna moderna”. Tutti i segni si componevano in un grande piano distopico, il classico distruggere l’umanità per salvare l’umanità, ma quasi nessuno voleva crederci. Il Tempo Perduto qui è quello del non aver voluto riconoscere i rischi esistenziali.

Tutta l’opera di Antoine Volodine sembra essere in una timeline: Lisbona, ultima frontiera (2015) dove una terrorista e un poliziotto si innamorano e, per salvare se stessi nella lotta tra regime poliziesco e Internazionale rivoluzionaria terrorista, devono rivedersi solo dopo alcuni decenni; Terminus radioso (2014) dove rivoluzioni sono state vincenti e poi sconfitte e l’Eurasia è una wasteland radioattiva e tempo e menti sono devastati e condannati a una forma di ciclicità; Animali che amiamo (2006) ormai sembra a milioni di anni dai primi scontri tra gli agenti del Capitale e terrorismo di sinistra, era dove gli animali parlano e quella dell’uomo, anche postesotico e postumano, è finita. Nel worldbuilding di Volodine, dove la globalizzazione è un ricordo ancestrale e nessun luogo e angolo della terra è esotico, umani e postumani ricordano il mondo che era, in “narrat”, tradizioni orali di ciò che è andato perduto.

L’oraliture prepostuma è anche al centro di Apriti, Mare! di Laura Pariani (2021), dove la lunga catena di occasioni mancate, di malinconie collettive, di strati di tempo perduto diventano un racconto individuale/collettivo che esplora in primo e in secondo grado il potere mitopietico della narratologia apocalittica.

NB: tutti questi trope del romanzo dell’Antropocene sono svolti in The Road di Cormac McCarthy. In alcuni romanzi dell’Antropocene nessuno di essi sembra attivo nello svolgimento ma sempre lo sono nel sottotesto e la metafora principale. Il problema, in ogni caso, non è solo di critica letteraria, ma di narratologia militante.

Super A, The Four Horsemen of the Apocalypse, Gent, 2017.

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