Bewilderment

Il cielo, di notte, lontani da qualunque città, è qualcosa di nuovo. Stupisce, diventa una prospettiva.

Richard Powers, qualche anno fa. Forse vede se stesso e, nella nebbia delle idee, alcune immagini per il nuovo romanzo. Così è per tutti. Un padre vedovo, un bambino da crescere, mano nella mano, in campeggio, in una foresta millenaria che ha già visto e scritto. I riflessi dei protagonisti escono dalla città, gli alberi si spostano lentamente verso nord. Lo avranno già fatto, siamo sul pianeta da poco tempo ma abbastanza adesso per accorgercene.

Fotogrammi di Greta Thunberg, porzioni di flusso informativo e immagini a un decimo della velocità; statistiche sull’autismo infantile in America, lo status dell’autismo, Big Pharma e il trattamento dell’autismo. Problema, balzo evolutivo, ipermedicalizzazione, come non essere pessimisti, qualcosa si è rotto nei bambini come nel futuro come progresso, adattamento, il senso della specie per una catastrofe imminente forse. Theo vuole una soluzione alternativa per la condizione di Robin, il talento di Robin, la rabbia di Robin, quei troppi nomi per lo spettro dell’autismo. Forse ore per scrivere una scena, scoprire il segreto di Robin e decidere il finale. Greta, Robin, un altro mondo.

Può scrivere qualcosa; non può non essere che cinque minuti prima di The Road, tre minuti prima di una forma normalizzata de Il Racconto dell’Ancella, in qualche modo, in altri colori, una velocità ridotta così che sembri uno svolgimento nella normalità narrativa. “Sono sempre stati tra noi”, dice June, da sola, nella sede del Boston Globe. Segni e azioni.

L’aritmetica del global warming è semplice, il suo effetto sulle particelle convinte di essere autocoscienti no. Powers lo sa, la letteratura è tutta lì. La nebbia si dirada.

C’è un crescendo, è una storia padre-figlio, potrebbe essere una coming-of-age ma ci sono troppi spettri, quelli che si vedono quando le immagini si mettono in ordine, il libro prosegue, ordine nelle asimmetrie, i pattern emergono. Si può scrivere un romanzo che non sia pre-apocalittico, oggi? Powers non può, c’è qualcosa di più potente della narratologia. Theo e suo figlio Robin camminano in una foresta che si sposta, che potrebbe non esserci più. Qualcuno deve sparire. Nel futuro interrotto non c’è tempo.

Ancora, altre immagini.

Il Jason Webb Telescope che non è in orbita, invece è in ritardo, di dieci anni. C’è un telescopio spaziale ancora più complesso da mettere in orbita in Bewilderment. Il fatto che nessuno dei due, realtà e fiction, lo sia, è un’ombra a un certo livello d’inquietudine. Il protagonista Theo ha bisogno che quel telescopio funzioni, sia operativo, che il Congresso approvi un ulteriore finanziamento.

They harnessed steam, channeled electricity, learned and build simple machine. But when their archeologists revealed how often the world ended, and their astronomers figured out why, society broke down and destroy itself, millennia before the next supernova would have.

This, too, happened again and again.

Il Texas, deve esserci un accenno al Texas, lì succede sempre qualcosa. C’è un’epidemia, una tra le tante. Il paese che può secedere, la superpotenza continentale, la terra strappata al Messico. Un romanzo sulla fragilità dei sistemi si può intitolare Texas. Il laboratorio politico, demografico, giudiziario da cui può fuoriuscire l’ultimo evento prima dell’Evento.

Il presidente, uno della serie di comandanti in capo idioti, pazzi, inetti del romanzo contemporaneo, ordina di arrestare un giornalista usando l’Espionage Act. Qualcuno protesta, il sistema viene testato, uno stress test sul paradigma check and balance fallisce; i contrappesi previsti, studiati, svaniscono quando dovrebbero apparire. Erano una fiction, devastati dalla prova del tempo e della realtà. L’indignazione, la vergogna, un giudice, le dimissioni di servitori dell’America e non di un uomo, non servono più, il Sistema è in modalità sopravvivenza. Gli uomini buoni di Acemoğlu si ritirano nella foresta. Uno spettro si è insinuato nella Casa Bianca, sussurra alla mente del potente potresti essere l’ultimo, dopo di te solo Romolo Augustolo. Intanto Robin, 9 anni, decide di salvare gli animali a rischio d’estinzione, una lunga lista da un database pubblico federale. Lo fa, disegnandoli. Sembra il personaggio di un qualche zoocene fantastico.

Se alcuni sistemi non funzionano più, altri lo fanno eccome: anche se Theo a volte è in denial il potere amministrativo dell’assistenza sociale è una clear and present danger per lui e suo figlio. Forse, a proteggerli c’è un privilegio bianco. In ogni caso, avremmo bisogno, Theo e Robin, noi, di un vescovo di Clermont ma quella è forse una specie estinta.

I gave him my cell phone, and he took several shots from different angles and distances in the changing light. A boy, his father, the dying bird and beast, the insect apocalypse along the banner’s bottom, the background mosaic of sandstone, limestone, and marble dedicated to freedom and built by slaves: the engineer wanted to get it exactly right. Another pair of astronomers from the day’s meeting saw us from distance. They came over to admire the banner and instruct the engineer on how to take a photo. The engineer flipped my phone over to show Robbie the lenses. “We came up with digital cameras at NASA. I helped build the billion-dollar camera that we lost in orbit around Mars.”

Una conversazione che Powers conosce benissimo. Bostrom, The Eerie Silence, il paradosso di Fermi. Siamo i primi o non siamo soli nella Galassia. Il Grande Filtro. È una questione fondamentale. Se siamo l’unico pianeta alieno come diceva Ballard non abbiamo molte speranze di sfuggire al ciclo delle estinzioni. In una galassia silenziosa sembra che nessuno ci sia riuscito. L’astrobiologo Theo e i suoi modelli teorici vanno testati, l’impalcatura matematica senza l’osservazione è troppo prossima alla fiction fantascientifica in cui il giovane Theo trova conforto in un’infanzia povera. Eppure i prodromi della vita, la speranza di quella complessa, in pozze bollenti e acide, attaccati a camini sottomarini, forme di vita a base non carbonio, esistono. Devono essercene altre, lassù. Forse hanno avuto fortuna e adesso ci stanno cercando. È un caso che Theo sia riuscito ad essere un astrobiologo di fama, è un caso che Robin sia nato, il caso non esiste ma la fortuna, di Theo, Robin come dell’umanità, non dura. Il rischio è morire in silenzio, da soli.

2011, Rise of the Planet of Apes. Il giovane scienziato e Caesar. Quasi un figlio, la distanza genetica da uno scimpanzé è minima, quella delle capacità cognitive nel film è prossima allo zero. La corsa per una cura contro il Parkinson, il quasi figlio adottivo devoluto in via amministrativa in una gabbia. Intanto, in sottotraccia, forse solo un easter egg per collegare le continuity narrative con il reboot in corso, c’è una missione su Marte. Due traguardi per l’umanità, breakthrough, superare i limiti, vivere meglio, più a lungo, altrove. È un mondo migliore di quello di Bewilderment, uno che non ha avuto la presidenza Trump che rimarrà nell’immaginario come un rischio catastrofico globale – appena – scampato. Quel tipo di rischio che si accumula, come un castello in cui sono stati commessi troppi omicidi, per troppi secoli. Il mondo meno caldo, meno pericoloso di Rise of the Planet of Apes ha bisogno di stupor, di costruttori di mondi, oltre che di salvare un padre dall’inevitabile.

Theo fa sottoporre Robin a un trattamento sperimentale, meglio, un fortunato tentativo di mappare le funzioni emotive del cervello come flussi, misurabili, ripetibili, di colori, forme, fenomeni visibili di reazioni chimiche. Quel complesso che, in un imperfetto ma adattabile repertorio concettuale, può essere chiamato, dai non deterministi, spirito. Le mappe neurali della deceduta madre di Robin, solide, determinate, uno spirito estatico e instancabile, torneranno.

Stavamo per farcela, sul fronte interiore come verso il destino cosmico dell’umanità, sembra dire lo Scrittore. La catena degli errori è completa, in Bewilderment non è il caso, la fortuna di specie finita, un cigno nero a chiuderla. Perse irripetibili occasioni di estasi e stupore come individui e Sapiens rimane una qualunque accezione del titolo di questo libro. Non resta che guardare nel pozzo buio sapendo con una buona, tragica approssimazione, cosa, inevitabilmente, striscerà fuori. È un Romanzo dell’Antropocene, l’abbiamo evocato noi.

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