Animali dell’Antropocene

Riportiamo qui, tali e quali, gli appunti che sono stati alla base dell’omonima lecture romana del 23 luglio 2021 all’Ex-Mattatoio, nel contesto di “Re-Creatures. Apparizioni artistiche & altro” a cura di Ilaria Mancia.

Strano parlare qui in un ex mattatoio, dove le pareti sono spugne di anime tormentate, di spettri e chimere, che si creda o meno a queste cose…

Partiamo da Cave of Forgotten Dreams (2010) di Werner Herzog: incontro tra animali estinti da 10.000 anni e coccodrilli albini allevati in serre riscaldate dalle acque di raffreddamento di una centrale nucleare. Herzog propone lo straniamento dello sguardo: i coccodrilli un giorno guarderanno la nostra estinzione, il futuro ci osserva.

Lo sguardo animale come paradigma filosofico/cognitivo, dal Dinofelis al gatto di Derrida: guardare animali, guardare animali che ci guardano, come agente scatenante la teoria della mente, il salto cognitivo della nostra specie. Shepard e la morfogenesi cognitiva di Homo (caccia, zoologia del sé); McCarthy e l’invenzione simbolica (Kekulé Problem: August Kekulé sogna la molecola del benzene come il serpente Ouroboros, arte preistorica e sogno)

Lascaux e Chauvet come luoghi per sognare animali a occhi aperti (e attraverso gli animali molto altro). Dispositivi mediali, dreamscapes, spazi rituali di trasformazione identitaria, dove Homo sapiens ha sperimentato spostamenti di confine tra uomo e animale: sciamanesimo, animismo, prospettivismo, teriomorfi. Animale come Altro (metafora) e come Altrove (metonimia).

E l’Antropocene? A cosa serve pensare animali dipinti e graffiti oggi? Se esiste una “zoologia del sé”, se pensare animali ha modellato il nostro cervello, il crollo di biodiversità, le grandi estinzioni animali forse genereranno o incrementeranno il collasso cognitivo che caratterizza la nuova era geologica/culturale: riduzione di modelli di alterità, specchi infranti, asfissia antropologica.

Inciso: per capire come l’impatto immaginifico degli animali sia al centro del nostro pensiero simbolico e sociale potremmo esplorare il bestiario nazista: orsi, lupi, cani, pulci come costruzione narrativa del potere e come matrice ideologica della dittatura (Jan Mohnhaupt, Bestiario Nazista. Gli animali del Terzo Reich, Bollati Boringhieri, 2021): totemismo, spostamento del confine uomo/animale come pratica di controllo gerarchico e di etnicizzazione.

Che fare? Come reagire, come svegliarsi, resistere? De-estinguere animali, cioè riattivare animali scomparsi o invisibili con una vigorosa trasfusione di immaginario, immaginare bestie ed ecosistemi come Altri e Altrove da narrare a noi stessi per compensare la perdita, per affacciarci al collasso e alla catastrofe con maggiori abilità cognitive.

Due esempi: gli insetti e i cani, invisibili i primi, troppo visibili e mediatizzati (e quindi invisibili) i secondi.

Per gli insetti prendiamo le formiche e un film del 1974, Fase IV, di Saul Bass. È il primo grande film della consapevolezza antropocenica: non siamo noi a osservare le formiche, siamo noi l’esperimento vivente di un superorganismo inesorabile. Questo ci fa riflettere su due cose: la necessità di spostare lo sguardo dalla prospettiva umana alla prospettiva animale; ripensare certi comportamenti della società di massa come stupidità/cecità autorganizzata (Amitav Ghosh; Divenire invertebrato, Ombrecorte 2020, curato da Filippi e Monacelli).

I cani. Nell’antropologia della B (Bistecca & Barboncino) il cane è un modello perfetto per misurare la temperatura ideologica della società in cui viviamo. A parte gli estremi disneyani e infantilizzanti del pet, il cane fedele amico dell’uomo è una mistificazione e una cancellazione (direi neolitizzazione): invece il cane è carnivoro, è feral, è arma, dai becerillos dei Conquistadores ai negros dogs dei proprietari di schiavi e degli Afrikaner ai cani poliziotto come protesi di repressione razziale nel Novecento, e adesso. Ma anche tutto l’immaginario apocalittico, dalla letteratura horror (Cujo di Stephen King) alla filmografia più recente, con cani zombie come in I Am Legend di Frances Lawrence (2007) o nella saga di Resident Evil.

Tre paradigmi, tre parole-chiave, per iniziare a riflettere a delle alternative narratologiche, a un diverso immaginario della relazione uomo-animale:

Agency: o agentività, cioè la parte attiva di persone umane e di persone non-umane nel modellare i futuri scenari culturali, sociali, biologici, ecologici. L’agency animale è al cuore delle nuove riflessioni sull’Antropocene, dal prospettivismo indigeno alle filosofie del postumano. Bisogna cominciare a riflettere sulle forme di ribellione animale nell’inesorabile limitazione/repressione della loro agency. Bisogna imparare a osservarli nelle loro forme di resistenza, dal rifiuto del guinzaglio alla fuga di bestiame. Si potrà ricavare uno sguardo nuovo su potere, repressione, dominazione, reclusione.

Coesistenza: immaginare tutti gli scenari possibili, dagli insetti ai mammiferi, in un mondo alterato dal collasso sistemico, sui modi di convivenza auspicabile/necessaria uomo-animale. Animale-cosa, animale-persona, animale-preda, animale-predatore, animale-schiavo, animale-soggetto-di-diritto. E io di direi di impostare subito la questione in termini spaziali, di abitabilità degli spazi, di costruzione/progettazione di spazi di coesistenza, ovviamente in chiave etica e in chiave opportunistica, dal rispetto dell’altro da sé (nuove idee di comunità miste) al bisogno di evitare promiscuità pericolose (zoonosi, bolle sempre più grandi di gas metano, parassiti futuri, scarsità di cibo…).

Tame (domato), Feral (inselvatichito), Wild (selvaggio) e Domestic (domestico): quattro vettori epistemologici per fare la cosa necessaria e più urgente nell’Antropocene, cioè pensare per complessità. La complessità è difficile, la complessità è in salita, ma è l’unico antidoto contro la stupidità individuale e di massa. È stato pensando animali che la nostra specie si è salvata dal collasso climatico dell’era glaciale. Oggi, nella nuova era senza inverni che si sta annunciando, che è già cominciata, pensare e ripensare animali, pensare dal lato animale, pensare con gli animali, è una prospettiva salvifica tra le tante, ma è necessaria tanto quanto pensare il dissesto climatico, la scarsità d’acqua, la diaspora di popoli senza futuro.

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