La loro scia era immensa. Calpestata e contaminata, la terra era costretta a ripararsi anche dopo la più delicata e attenta delle loro intrusioni…
Semplifichiamo un attimo. Ci sono libri belli e utili, belli e inutili, brutti e utili, brutti e inutili. Qui a Grendel ci interessano quelli utili, belli o brutti che siano, perché di far sapere quanto un libro ci è piaciuto, quanto ci ha fatto stare bene, quanto ha intercettato il nostro cuore, quanto ci ha fatto piangere o ridere, è questione privata che non ci sembra interessante divulgare. In genere i libri brutti e utili vengono scartati dai lettori tanto quanto quelli brutti e inutili, perché quasi tutti leggono per il piacere che dà leggere, ma se si è interessati a questioni narratologiche, se davvero si pensa che fiction is action e che bisogna rapidamente attrezzarsi per costruire delle contronarrazioni antropoceniche, allora ci sono due regole da seguire, perché hanno a che fare con la complessità del mondo e del metodo: se vuoi parlare seriamente di un libro devi farlo dopo averlo letto almeno due volte; se non hai il tempo per leggere un libro almeno due volte devi usarlo bene e per dei buoni motivi. Chiaramente c’è chi scrive di libri mentre li legge, a volte c’è chi scrive di libri anche senza leggerli, e non c’è niente di male. Non c’è niente di male non solo perché fingere di conoscere è una pratica sociale universalmente diffusa, ma anche perché esistono alcuni lettori che sanno davvero fare scouting narratologico dentro le pagine di un libro, affidandosi a quello che qualcuno chiamerebbe naso.
Ma non è solo naso. Da un punto di vista evoluzionistico la nostra specie ha modellato il proprio sistema esplorativo procedendo per tentativi, non per raccolta scientifico-filologica dei dati. Mettiamo il naso in un bosco, cominciamo a guardarci attorno, raccogliamo tracce e dettagli, processiamo dati e costruiamo un primo modello orientativo, aggiungendo informazioni lo modifichiamo, correggiamo impressioni e percezioni, costruiamo un nuovo modello che sostituisce il vecchio, e così via, fino a quando la nostra idea di bosco somiglia abbastanza al bosco reale da esserci utile. La prima ragione per cui leggeremo Vorrh di Brian Catling è appunto questa: al centro di tutto c’è un bosco, il Vorrh, che non è solo un luogo o un non-luogo, ma è la foresta cognitiva materializzata, è la selva-specchio senziente che funziona come il nostro cervello e che al tempo stesso lo contraddice e lo mette in scacco. Detto altrimenti, il Vorrh è la traduzione narrativa del multiverso della mente, e questa mise en abîme della complessità cognitiva rende il romanzo di Catling un’esperienza che promette al lettore in secondo grado una selva di scoperte narratologiche. Mentre la trama si svolge, quando arrivano i personaggi, i piani tra realtà e finzione si confondono, il filo si spezza e si riannoda, i flussi temporali si intrecciano, chi legge non sta solo leggendo una storia, ma sta facendo metacognizione, sta cercando dentro di sé ciclopi e robot, demoni e sciamani, cioè sta usando le immagini del libro per dare una forma visibile all’informe interiore che si porta dentro. Il Vorrh, insomma, come una successione di tavole di Rorschach, è un sistema di macchie che intercetta il nostro inconscio narrativo e lo spinge a emergere.
Questo pezzo potrebbe fermarsi qui, tutti i perché fondamentali sono già stati detti: complessità antropocenica, interfaccia tra outback e inner space, mise en abîme del processo cognitivo (in particolare apofenia, vicarianza e modellizzazione del mondo), narratologia immaginifica. Ma l’esperienza della metacognizione, cioè il leggere sapendo di leggere per capire i meccanismi della scrittura nel sospetto che il libro non racconti solo una storia ma racconti anche come le sue storie (e altre storie fuori dal libro) sono state scritte, è l’occasione per aggiungere qualcosa a un pezzo che non è una recensione ma, se vogliamo, una metarecensione. Il lettore che ha naso, che fa scouting narratologico operando quella che un tempo veniva chiamata mellificatio, cioè saltare da un fiore all’altro, da una pagina all’altra, per lasciarsi macchiare di polline, per usare quel polline e ricavarne il proprio miele, quel lettore stocastico in bilico tra agency e scoperta casuale, ha un metodo di lavoro che molti scrittori intuitivamente praticano ma che molto raramente si racconta. E quel metodo consiste nell’operare carotaggi testuali, un po’ come facciamo tutti in libreria quando prendiamo un romanzo tra le mani e leggiamo qualche frase a caso. Ma la differenza è che il lettore-scout il libro lo ha già comprato, e continua a interrogarlo come un aruspice faceva con il fegato del capro, non leggendolo in maniera lineare da pagina 5 a pagina 466 ma cercando una sequenza combinatoria ipertestuale. Primo esempio stocastico:
La punta della baionetta era meno di due metri dal petto di Ishmael quando un boato spaventoso interruppe qualsiasi movimento, a eccezione degli uccelli: si librarono da ogni ramo agitando le ali verso il cielo terso e luminoso, volando lontano dalla foresta e da quel fracasso terribile. (347)
Scuotendo via quei ricordi orribili, Muybridge tornò al presente e si accorse che Gull aveva mollato la presa e lo aspettava. Erano di fronte al lungo corridoio di un reparto. I muri erano dipinti di un giallo vibrante, più simile alla tinta di una zucca che a quella di un fiore. Lo stesso assistente con il grembiule che li aveva scortati era in piedi accanto alla porta. Gull fece un gesto e l’uomo sbloccò un catenaccio complicato che azionava leve e cardini unti, permettendo loro di accedere al reparto. Svolse quell’operazione con un’enfasi più adatta all’inaugurazione di un nuovo zoo che a un istituto di cura. (222)
L’arco che impugno è ricavato da Este. (21)
Le giornate avevano iniziato ad applicare le stesse norme di invenzione e composizione della sua vita, distorcendo piacere ed esperienza per farne inutili barzellette. (65)
Il sentore aspro del turbamento fu appianato dalla loro eco, mentre sedevano in un silenzio sconcertato e Ishmael attivava sempre più corde dello strumento di Goedhart. La loro vibrazione attraversava le due donne, le pieghe e le svolte della vita, i mobili e i pavimenti giù in fondo fino al pozzo, dove l’armonia delle note aumentava e ruotava, attivando minuscoli motori che attivavano altri minuscoli motori che a loro volta ne innescavano altri… (434)
La colomba aveva battuto il corvo, almeno negli ultimissimi giorni. Lei aveva combattuto con tenacia e autorità per la sua vittoria. Aveva sofferto per la sua crudeltà, ma non come aveva patito lui per le continue beccate al cuore dell’uccello necrofago. Ora avrebbe bandito quella immagine di lui, per ricordarlo solo come voleva: mentre imitava le stelle del vaudeville. (466)
L’isola degli esiliati un tempo era stata una colonia di lebbrosi. La famiglia di Nebsuel ci aveva vissuto, tutti affetti dal morbo implacabile, ma non lui. (199)
L’alta marea aveva cancellato il sangue dalla sabbia. Il rosso vivo e l’arena gialla vorticavano insieme sotto l’acqua verde e cristallina. Il fagotto era stato sollevato e trascinato via, lontano dalla terraferma, dove si era dissolto tra milioni di onde pulsanti. Dopo il calo della marea, quando il sole avrebbe trasformato di nuovo il fango in polvere scintillante, non sarebbe rimasta alcuna traccia degli uomini o delle conseguenze delle loro azioni. (158)
Abbiamo messo il naso nel bosco, abbiamo cominciato a guardarci attorno, a raccogliere tracce e dettagli, e la prima cosa piuttosto evidente è che il bosco non c’è. Dov’è il Vohrr? Sfugge perché è invisibile? Non si vede perché è ovunque? Oppure, più semplicemente, siamo stati sfortunati nel carotaggio, troppo limitato, troppo casuale, e allora dobbiamo continuare con le prospezioni, magari in maniera più metodica? Forse. Ma nella sabbia qualche pagliuzza d’oro si è già fatta vedere: possiamo farci una prima idea sul rapporto tra immagini e stile, sugli animali, sulla costruzione spaziale. Ora però dobbiamo esplorare più a fondo a partire da quello che è scivolato via dal setaccio: la macchina dei dialoghi, la caratterizzazione dei personaggi, il rapporto tra descrizione e metafora, oppure le piante, la geologia, la carne… Comincia allora un nuovo carotaggio stocastico, un po’ più pensato, un po’ meno casuale, e in qualche modo entriamo nel Vorrh:
L’arco si ravvivava, contorceva e raddrizzava mentre i suoi contorni venivano manipolati dallo scorrere di giorni e notti. C’era una somiglianza con il cambiamento di Este mentre moriva, anche se quel passaggio non aveva niente in comune con tutte le morti a cui avevo assistito e alle quali avevo partecipato in precedenza. Tutto ciò che riguardava Este era permeato da un desiderio espanso, come lo zucchero che assorbe l’umidità e il sale che invece la rilascia. (22)
Prima di tutto questo, alla loro prima comparsa le forze coloniali erano sembrate misteriose e potenti. Potevano perdonare la loro ignoranza del mondo. La quantità di splendidi beni che portavano e il modo in cui erano arrivati avevano spaventato il Primo Popolo. La cautela faceva esitare e tremare le mani che accoglievano i tesori che venivano loro regalati. (25)
Animismo, feticismo, totemismo; antropologia, colonial studies, prospettivismo; tempo grande, primitivismo, epica. Ma quando appare per la prima volta il nome di Vorrh? Leggi il libro normalmente e lo saprai, dice una voce alle spalle… Ora, i perché leggere questo libro e i come sono stati detti. Ma il perché del come? Perché innescare una lettura rizomatica anziché abbandonarsi docilmente alla corrente lineare del succedersi ordinato delle pagine? Avete mai visto il fantastico rispettare i pannelli segnaletici e il codice della strada? Avete mai fatto un sogno che andasse da pagina 1 a pagina 100 senza saltarne nemmeno una? Avete mai sentito di un’allucinazione ordinata, di un viaggio sciamanico programmato in agenzia, di una wilderness ripulita come un giardino? Se volete leggere Vorrh per lasciarvi raccontare una storia, o per invogliarvi a farlo, vi conveniva non perdere tempo in rete e leggere il libro e basta. Se però volete capire come funziona il fantastico non basta prendere l’autobus, bisogna entrare nel Vorrh in base alle sue regole.
