An old man is twice a child (William Shakespeare, Hamlet, Act 2 Scene 2)
L’interferenza tra passato e futuro, il loop tra paleofiction e science fiction, il serpente Uroboro la cui la testa temporale morde la coda dei suoi antipodi spaziali, sono una chiave di lettura centrale nel decriptare l’Antropocene. In Esiste un mondo a venire? (Nottetempo 2017) Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Castro lo spiegano così:
[…] siamo simultaneamente trascinati da un doppio movimento, verso un passato e un futuro ugualmente doppi, con un lato “empirico” e uno “trascendentale”: il passato oscuro e violento della generazione materiale (cosmogenesi, antropogenesi) e il futuro doloroso della decadenza, della corruzione e dell’attesa della morte; ma anche un passato di pura pienezza esistenziale (che non ha mai avuto luogo in quanto presente, poiché ne è l’idea regolatrice e dunque l’inversione mitica) e un futuro di inesistenza assoluta (che è, per così dire, già da sempre accaduto, poiché l’inesistenza assoluta è “trascendentalmente” retroattiva. Ogni pensiero della fine del mondo pone dunque la questione dell’inizio e quella del tempo prima dell’inizio, la questione del katechon (il tempo della fine, cioè il tempo di prima-della-fine) e quella dell’eschaton (la fine dei tempi, ovvero la scomparsa ontologica del tempo: la fine della fine. (p. 52)
Questo frammento così concentrato e pluridirezionale è di per sé un intero manuale narratologico per chi scrive nell’Antropocene: si smarca immediatamente dalla metafora amletico-ontogenetica (la circolarità del tempo umano) e sfonda il diaframma verso la mitopoiesi (il presente moderno e il passato non moderno sono in continuità mitologica). Le coordinate utili per scrivere del “tempo ad anello” sono molte, ma anzitutto tre: a) MOLTEPLICITÀ: passato e futuro si articolano tra loro non solo in forma biunivoca (passato come futuro, futuro come passato) ma in forma multipla e combinatoria (passato materiale come futuro immaginato, futuro materiale come passato immaginato, passato immaginato come futuro immaginato e così via…); b) RETROAZIONE: il vettore mitico è una sistole-diastole che attraversa il passato e il futuro come una specie di pulsazione (mirando all’equilibrio o al disequilibrio); c) INTERFERENZA: tra kairos, kronos, kathechon ed eschaton.
Di fronte a questa complessità potenziale è comprensibile che la scorciatoia cognitiva così brillantemente condensata da Shakespeare (il vecchio è bambino due volte) giganteggi come un rifugio confortevole per lo scrittore timido. Ma se anche Christopher Nolan ha capito che la nuova ricerca narratologica si gioca sui rami temporali, se qualcosa di Tales from the Loop (Prime 2020) è stato declinato in chiave emotiva ed estetica per mettere miele sul farmaco, bisogna forse rimboccarsi le maniche e adottare la complessità per sforzarsi di capire la complessità. Adesso. Perché ovviamente al cuore del discorso non ci sono il passato o il futuro, ma il presente, che è sempre più chimerico e opaco.
Il tempo è in senso stretto un fantasma. Sono gli spettri temporali, i demoni temporali, i mostri temporali che bisogna sforzarsi di intercettare, immaginare, scrivere. Come? Basta cercare modelli operativi. Ad esempio due domatori di tempo come Cormac McCarthy e Don DeLillo. Qui nella palude di Grendel crediamo molto nell’Ars poetica implicita nei florilegi, accozzaglie di frammenti che risuonano tra loro, che sbattendo accendono scintille, reti combinatorie stocastiche pronte a divampare. Ecco allora un microaccumulo di briciole di uranio arricchito:
Stars were falling across the sky myriad and random, speeding along brief vectors from their origins in night to their destinies in dust and nothingness (Blood Meridian, p. 333)
[Miriadi di stelle cadevano a caso nel cielo, affrettandosi lungo brevi tragitti dalle loro origini nella notte ai loro destini nella polvere e nel nulla (Meridiano di Sangue, p. 341]).
The universe is no narrow thing an the order within it is not constrained by any latitude in its conception to repeat what exist in one part in any other part. Even in this world more things exist without our knowledge than with it and the order in creation wich you see is that witch you have put there, like a string in a maze, so that you shall not lose your way. For existence has its own order and that no man’s mind can compass, that mind itself being but a fact among others (Blood Meridian, p. 245)
[L’universo non è qualcosa di angusto, e l’ordine che vi regna non è ostacolato da alcuna latitudine nel suo proposito di ripetere ciò che esiste in una parte in ogni altra parte. Anche in questo mondo esistono più cose fuori che dentro la nostra conoscenza, e l’ordine che voi vedete nella creazione è quello che ci avete messo voi, come un filo in un labirinto, per non smarrirvi. Infatti l’esistenza ha il suo proprio ordine, tale che nessuna mente umana possa abbracciarlo, poiché la mente stessa non è che un fatto in mezzo ad altri fatti (Meridiano di Sangue, p. 252)].
The clocks stopped at 1:17. A long shear of light and then a series of low concussions. He got up and went to the window (The Road, p. 54)
[Gli orologi si fermarono all’una e diciassette. Una lunga lama di luce e poi una serie di scosse profonde (La strada, p. 41)].
Tolling in the silence the minutes of the earth and the hours and the days of it and the years without cease (The Road, p. 1)
[I minuti della terra scanditi nel silenzio, le sue ore, i suoi giorni, gli anni senza sosta (La strada, p. 3)].
He thought the month was October but he wasn’t sure. He hadnt kept a calendar for years (The Road, p. 2).
[Gli pareva che fosse ottobre ma non ne era sicuro. Erano anni che non possedeva un calendario (La Strada, p. 4)]
The soft ash moving in the furrows. Stopping. Moving again. He’d seen it all before. Shapes of dried blood in the stubble grass and gray coils of viscera where the slain had been field-dressed and hauled away. The wall beyond held a frieze of human heads, all faced alike, dried and caved with their taut grins and shrunken eyes. They wore gold rings in their leather ears and in the wind their sparse and ratty hair twisted about on their skulls. The teeth in their sockets like dental molds, the crude tattoos etched in some homebrewed woad faded in the beggared sunlight. Spiders, swords, targets. A dragon. Runic slogans, creeds misspelled. Old scars with old motifs stitched along their borders. The heads not truncheoned shapeless had been flayed of their skins and the raw skulls painted and signed across the forehead in a scrawl and one white bone skull had the plate sutures etched carefully in ink like a blueprint for assembly. He looked back at the boy. Standing by the cart in the wind. He looked at the dry grass where it moved and at the dark and twisted trees in their rows. A few shreds of clothing blown against the wall, everything gray in the ash. He walked along the wall passing the masks in a last review and through a stile and on to where the boy was waiting. He put his arm around his shoulder. Okay, he said. Let’s go. (The Road, pp. 94-95)
[La cenere che si muoveva leggera nei solchi. Si posava. Riprendeva a muoversi. Una scena già vista. Tracce di sangue secco nell’erba ispida e spirali di interiora grigiastre dove i corpi massacrati erano stati ricomposti alla meglio e portati via. Poco più avanti c’era un muro con un fregio di teste umane; i volti si somigliavano tutti, secchi e scavati, la bocca contratta in un ghigno e gli occhi infossati. Le orecchie incartapecorite erano ornate da cerchietti d’oro, e il vento strapazzava i capelli radi e sciupati che avevano attaccati al cranio. I denti nei loro alveoli come calchi da laboratorio, i tatuaggi grossolani realizzati con qualche tintura casalinga, scoloriti da un sole esangue. Ragni, spade, scudi. Un drago. Iscrizioni runiche, massime piene di errori ortografici. Vecchie cicatrici con antichi motivi ricamati lungo i bordi. Le teste che non erano state deformate dai colpi di mazza erano state scuoiate, i teschi dipinti e firmati con uno scarabocchio sulla fronte, e uno di questi, bianchissimo, aveva le suture fra le placche ripassate accuratamente con l’inchiostro, come in uno schema di montaggio. Si voltò a guardare il bambino. Era fermo nel vento accanto al carrello. Guardò le onde di erba secca e le file di alberi scuri e contorti. Qualche brandello di vestito che il vento sbatacchiava contro il muro, ogni cosa grigia di cenere. Osservò un’ultima volta le maschere costeggiando il muro, oltrepassò un tornello e raggiunse il bambino che lo aspettava. Gli mise un braccio intorno alle spalle. Ok, disse. Andiamo. (La Strada, pp. 69-70)].
This was the perfect day of his childhood. This the day to shape the days upon (The Road, p. 12)
[quella era stata la giornata ideale della sua infanzia, la giornata su cui modellare tutte le altre (La strada, p.11)]
In the neuter austerity of that terrain all phenomena were bequeathed a strange equality and no one thing nor spider nor stone nor blade of grass could put forth claim to precedence. The very clarity of these articles belied their familiarity, for the eye predicates the whole on some feature or part and here was nothing more luminous than another and nothing more enshadowed and in the optical democracy of scuch landscapes all preference is made whimsical and a man and a rock become endowed with unguessed kinships (Blood Meridian, p. 247)
[Nella neutra austerità di quel terreno, tutti i fenomeni erano affidati a una strana eguaglianza, e nessuna cosa, né un ragno, né una pietra, né un filo d’erba, poteva vantare diritto di precedenza. L’assoluta visibilità di questi oggetti snaturava la loro familiarità, poiché l’occhio identifica la totalità sulla base di qualche caratteristica o parte, mentre qui nulla era più luminoso di qualcos’altro e nulla era più adombrato, e nella democrazia ottica di paesaggi del genere qualsiasi predilezione è pura bizzarria, e fra un uomo e una roccia si creano parentele impreviste (Meridiano di sangue, p. 254)].
La cosa più evidente è che McCarthy cerca una doppia complessità: inserire il tempo nella materia e immergere il presente nell’ancestralità. Incorporazione e de-evoluzione. Anche DeLillo fa qualcosa di analogo:
He began to recite the words and numbers aloud because it made no sense, it had no effect, if he simply noted the changing details only to lose each one instantly in the twin drones of mind and aircraft.
“Okay. Altitude thirty-three thousand and two feet. Nice and precise,” he said. “Température extérieure minus fifty-eight C.” (The Silence, Cap. 1)
The curse was visible in his slit eyes, right eye nearly shut, but depending on the game situation and the size of the wager, it might become a full-face profanity, a life regret, lips tight, chin quivering slightly, the wrinkle near the nose tending to lengthen. Not a single word, just this tension, and the right hand moving to the left forearm to scratch anthropoidally, primate style, fingers digging into flesh. (The Silence, Cap. 2)
It was time for another slug of bourbon and he paused and drank. His use of language was confident, she thought, emerging from a broadcast level deep in his unconscious mind, all these decades of indigenous discourse muddied up by the nature of the game, men hitting each other, men slamming each other into the turf. (The Silence, Cap. 4)
Mentre Jim “viene parlato” dallo screen sull’aereo, Max presta voce al televisore morto. Il primo è un posseduto, il secondo è uno sciamano per caso. Entrambi regrediscono a un tempo T che è assenza di tempo, il “silenzio” pieno di parole involontarie, inconsapevoli, automatiche è il vuoto digitale che rende reversibile la modernità (“the twin drones of mind and aircraft”), e che contemporaneamente fa riemergere un’ancestralità latente (“anthropoidally”, “primate style”, “decades of indigenous discourse”). Ma per entrambi il luogo in cui l’Evento X accade è il corpo, che ingloba l’apocalisse digitale, l’eschaton, in un misto di fango primordiale e linguaggio disincarnato o, come dicevano Danowski e Viveiros de Castro, un lato “empirico” e uno “trascendentale”. Dire il tempo complesso, piegarlo al tempo semplificato di una trama, fare della letteratura un gatto di Schrödinger, è l’unica pista concessa per riappropriarsi di una visione cosmopolitica del tempo. Si può fingere che non sia importante, si può credere che l’isola di Helgoland sia l’Isola-che-non-c’è, nei due sensi, cinico e magico, ma dobbiamo promettere al bambino che terremo acceso il fuoco della parola.
